- HOMO SAPIENS CRO-MAGNON IN LIGURIA
- HOMO SAPIENS CRO-MAGNON
- Estratto da Guido Zunino, www.vegiazena.it.
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- L’HOMO SAPIENS CRO-MAGNON AI BALZI ROSSI
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- SEPOLTURE AI BALZI ROSSI
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- ARTE PARIETALE PALEOLITICA AI BALZI ROSSI
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- LE “VENERI” DEI BALZI ROSSI
- GROTTE DI FINALE LIGURE
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- GROTTE DI TOIRANO
HOMO SAPIENS CRO-MAGNON
IN LIGURIA
HOMO SAPIENS CRO-MAGNON
Estratto da Guido Zunino, www.vegiazena.it.
L’ HOMO SAPIENS-SAPIENS, evoluzione dal precedente HOMO SAPIENS, si affaccerà in Europa ed in Asia circa 60.000 anni fa, proveniente dall’Africa orientale dove si era evoluto nel 200.000 a. C. Raggiungerà anche l’Australia, riuscendo persino a superare alcuni tratti di mare, e le Americhe (tra 15.000 e 12.000 anni fa), scendendo dal nord attraverso lo stretto di Bering ghiacciato e poi attraverso l’Alaska e il Canada, arrivando a colonizzare tutte le Americhe fino alla Terra del Fuoco sotto l’Argentina.
In Europa in 10.000 anni si sovrapporrà nei territori occupati dal preesistente HOMO di NEANDERTHAL stanziandovisi e sopravanzandolo tecnologicamente perchè più intelligente, migliore costruttore di utensili, con una forma di linguaggio più evoluto, e più versatile rispetto all’ambiente.
Fisicamente più alto anche se meno robusto risulterà più adatto al nuovo clima pre-postglaciale (Glaciazione di WÜRM) e diventerà in Europa l’ HOMO di CRO-MAGNON.
Il nome “CRO MAGNON” deriva dai resti di cinque scheletri, ben conservati, trovati nel 1868 sotto un riparo di rocce nella località omonima in Dordogna – Francia.
Di statura alta, atletico ma abituato a sopportare fatiche, con il cranio dolicocefalo dalla volta appiattita ma con la fronte alta, ha una capacità cranica media. La faccia risulta larga, con orbite oculari basse e naso alto che probabilmente era stretto e prominente, anche le mascelle risultano strette nelle vicinanze dell’arcata alveolare.
Assieme ai reperti ossei sono state rinvenute anche diverse conchiglie perforate utilizzate evidentemente come monili ornamentali, la datazione di quanto trovato in Dordogna è stimata intorno a 25.000 anni or sono.
La tipologia di questi resti , anche se differente dagli altri resti della stessa epoca, verrà trovata anche in altre zone sia in Europa che altrove, dimostrando così l’evoluzione della razza in questa nuova forma.
L’ HOMO di CRO-MAGNON viveva in tribù formate da più gruppi famigliari (anche oltre 30 individui) economizzando così le energie nelle battute di caccia, sviluppando le prime forme di espressioni figurative artistiche o rituali, aiutandosi (in caso di difficoltà) all’interno della tribù e creando quindi le prime forme di socialità elementare autoprotettiva.
L’espressione figurativa si manifesta nei siti di: PERIGORD, LESPUGUE, BRASSEMPOUY in Francia; le forme più eclatanti sono però nelle grotte di LASCAUX (Francia) e ALTAMIRA (Spagna).
La grotta di LASCAUX in Dordogna-Francia scoperta nel 1940 e formata da più ambienti è ricoperta da figure di animali (Bisonti, Tori, Cervi, Cavalli) incisi e dipinti per scopi magico-rituali, eseguiti con colori vivaci e a volte di notevoli dimensioni, durante il periodo AURIGNAZIANO.
La grotta di ALTAMIRA nella provincia di Santander in Spagna (scoperta nel 1868 e studiata dal 1875) contiene dipinti in ocra rossa e nera di Cervi, Cavalli, Bisonti e Cinghiali rappresentati in movimento o a riposo con notevole realismo, eseguiti nel periodo MAGDALENIANO.
La produzione di utensili (periodi PERIGORDIANO e GRAVETTIANO) si specializza e si affina molto realizzando utensili microlitici, utensili in osso o in denti e zanne di animali, molto più funzionali per l’uso a cui sono dedicati.
L’alimentazione, formata principalmente dalla cacciagione, è integrata dalla raccolta di frutti selvatici e in alcune zone (iniziando dalla valle del Nilo – circa 16.000 anni or sono) compaiono le prime coltivazioni di cereali.
Alla fine del periodo MAGDALENIANO in Asia e in Medio Oriente inizieranno a comparire anche le prime ceramiche, oggetti molto primitivi e d’uso domestico.
Nella evoluzione tecnologica dell’HOMO SAPIENS-SAPIENS non si possono tralasciare le seguenti date:
12.000 a.C. = Invenzione dell’arco e delle frecce
11.000 a.C. = Sviluppo diffuso dell’agricoltura
10.000 a.C. = Sviluppo diffuso dell’allevamento del bestiame
9.000 a.C. = Primi agglomerati umani stabili in Turchia
3.500 a.C. = Nascita in Mesopotamia delle prime città-stato (UR)
3.500 a.C. = Prime forme di scrittura
2.500 a.C. = Prime imponenti tombe funerarie (PIRAMIDI)
La presenza dell’ HOMO SAPIENS-SAPIENS in Liguria è ampiamente documentata già in epoche molto antiche, dai molti ritrovamenti di resti e di manufatti umani rinvenuti in varie grotte (ed attribuibili a vari periodi preistorici) specialmente in prossimità della costa o del primo entroterra.
GROTTE DEI BALZI ROSSI
In alcune grotte sono stati trovati vari scheletri umani (tra cui “L’UOMO DI MENTONE” , ora al Museo de l’homme a Parigi) appartenenti al genere CRO-MAGNON (Homo Sapiens-Sapiens, 25.000 anni a.C.) del Paleolitico Superiore (periodi AURIGNAZIANO e GRAVETTIANO ).
Sono state rinvenute anche diverse sepolture (doppie e singole), pitture parietali, incisioni rupestri, sculture in pietra, oggetti d’uso quotidiano ed utensili litici in pietra scheggiata di vario genere.
Nella grotta dei FANCIULLI sono state trovate due sepolture doppie e due singole. Nella prima delle sepolture doppie si trovavano: un adolescente ornato con quattro file di conchiglie marine ed una donna anziana con due bracciali dello stesso tipo; nella seconda doppia due bambini. Nelle due singole vi erano in una il corpo di un uomo e nell’altra il corpo di una donna.
Nella BARMA GRANDE nel 1892 si trovarono sei reperti dei quali uno carbonizzato.
Nella grotta del CAVIGLIONE si trovarono i resti sotterrati di un corpo adulto ed un cavallo inciso sulla parete.
GROTTE DI FINALE LIGURE
Le grotte che si trovano nel territorio di FINALE LIGURE in provincia di SAVONA sono state abitate già in epoca molto antica ed attribuibile al periodo che stiamo esaminando, e sono principalmente:
La caverna delle ARENE CANDIDE, che prende il nome da una duna di sabbia silicea chiara (trovata all’epoca dell’esplorazione) presso il promontorio della CAPRAZOPPA, si trova a circa 90 metri sul livello del mare presso Finale Ligure.
In essa sono state rinvenute molte sepolture sia singole che doppie e, dato l’elevato numero dei reperti rinvenuti stratificati su più livelli, si pensa che potesse essere utilizzata come necropoli a partire dal PALEOLITICO SUPERIORE (20.000 anni fa) fino al MESOLITICO (collocabile per l’ Europa tra il 10.000 e il 5.000).
Nel primo livello comprendente lo strato più antico (25.500 – 15.000 anni fa) sono stati trovati i resti di un adolescente di 12 o 14 anni (detto “il Principe”) con un ricco corredo funerario e con dell’ocra a riempire una grande ferita (causa della morte) alla testa e alla spalla.
Nel secondo livello (12.000 – 10.000 anni fa) si trovavano più di venti sepolture di individui compresi otto bambini (da neonati a 12 anni), quindi veniva utilizzata come una vera necropoli.
La Caverna delle ARENE CANDIDE non è attualmente ancora aperta alle visite pubbliche e molti dei reperti ivi trovati sono ora in visione presso il Museo di Archeologia Ligure di Genova.
Nei millenni, posteriori all’era glaciale, le condizioni climatiche erano molto simili a quelle del periodo attuale e l’uomo preistorico si diffuse in molti territori europei ed italiani dedicandosi prima alla caccia e alla raccolta dei frutti selvatici poi, impoverendosi i branchi selvatici di animali di grosse dimensioni si dovette applicare alla cattura di animali di più piccola taglia.
Le tribù costiere, per sopravvivere, iniziarono a raccogliere anche molluschi marini trovati sulla riva del mare, mentre le tribù stanziate più all’interno si specializzarono nella raccolta dei semi di alcune graminacee e alla successiva loro coltivazione, creando le premesse dell’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento di animali addomesticabili, abbandonando il nomadismo del “cacciatore” ed iniziando forme di vita più sedentarie e con una organizzazione sociale a livello di tribù più ampia.
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L’HOMO SAPIENS CRO-MAGNON AI BALZI ROSSI
Cartelli e alcune immagini sono state fatte al Museo dei Balzi Rossi. Le riprese fotografiche sono state effettuate su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Sopraintendenza Archeologica della Liguria.
Veduta dei Balzi Rossi, disegno acquarellasto dei Vinzoni (sec XVIII). Non sono indicate le grotte, ma i “balzi inaccessibili”. Si noti l’indicazione della “Strada Reale” della Provenza, che è la strada romana.
Veduta delle quattro prime grotte dei Balzi Rossi, prima dei lavori della ferrovia Nizza-Ventimiglia. Questa illustrazione è riprodotta dal volume: E. Rivière, Paléonthologie. De l’Antiquité de l’Homme dans les Alpes-Maritimes, Paris, 1887.
Fotografia attuale dei Balzi Rossi.
Cartello 1 e 2
La prima indagine complessiva ed organica sm Balzi Rossi fu opera del medico francese E. Rivière. Stabilitosi nella zona per motivi di salute, nel 1869 fu condotto dal Bonfils a visitare le grotte. Nonostante gli fosse assicurato che erano ormai state completamente esplorate, avendo intuito l’importanza dei depositi, Rivière intraprese immediatamente nuove indagini. Nel 1870, quando venne approntata la linea ferroviaria Marsiglia-Genova, lo scavo di una profonda trincea nel ripiano detritico antistante alle grotte mise in luce nuovi strati antropici, cosicché il Rivière fu in grado di raccogliere una ricca collezione di materiali e di fare preziose osservazioni. Questo lavoro gli valse un incarico ufficiale ad eseguire ricerche paleontologiche e antropologiche ai Balzi Rossi da parte del governo francese, con il consenso di quello italiano. A partire dal mese di ottobre del 1871 Rivière intraprese un’intensa attività di scavo. Nel 1875 i terreni davanti alla Grotta di Florestano erano stati setacciati, il Riparo Lorenzi scavato per due metri di profondità, la Grotta dei Fanciulli per oltre due metri e settanta centimetri, la Barma Grande, fino ad allora esplorata solo nelle parti più superficiali, per oltre un metro e mezzo, la grotta del Caviglione per circa cinque e la Barma du Bausu da Ture compieta- mente vuotata.L’esplorazione si era spinta anche verso la zona situata oltre la punta rocciosa del Bausu da Ture, con lo scavo della Barma dei Gerbai, dove erano presenti esclusivamente reperti faunistici prevalentemente attri buibili a carnivori, e con l’identificazione di altri depositi. I lavori furono possibili grazie all’acquisto o all’affitto delle grotte, e gli scavi vennero eseguiti a tagli di 25 cm, di spessore per piani orizzontali, a partire dall’imboccatura fino al fondo delle cavità.
Notevole interesse presenta la pubblicazione, nel 1873, degli elenchi dei reperti faunistici, riferibili per le loro quote di rinvenimento a momenti recenti nell’ambito della frequentazione delle grotte. Nella Grotta del Caviglione e nella Barma Grande Rivière ritenne di identificare: Orso speleo e bruno, Iena delle caverne, Leone delle caverne, Lince, Gatto selvatico, Lupo, Volpe, Cinghiale, Rinoceronte lanoso, Cavallo, Uro, Cervo, Alce, Capriolo, Stambecco, Camoscio, Marmotta, Coniglio e diversi altri roditori.
Ma il risultato più significativo di questo ciclo di lavori fu la scoperta di sepolture paleolitiche. II 26 marzo 1872 venne alla luce nella Grotta del Caviglione il cosiddetto “Uomo di Mentone“, 6 metri e 55 centimetri sotto alla coltre stalagmitica che si considera come testimone del livello più alto; nel corso del 1873 altre tre sepolture furono rinvenute nella Barma du Bausu da Ture alla profondità di m 3,70-3,90 dal suolo originario della grotta; nel 1874 furono infine scoperte nella Grotta dei Fanciulli le due sepolture infantili da cui il nome della cavità.
Le industrie litiche raccolte ai Balzi Rossi vennero inquadrate da G. de Mortillet fin dal 1872 tra quelle riferibili a fasi avanzate del Paleolitico superiore in base allo schema di suddivisione del Paleolitico da lui elaborato. Nel 1876 lo stesso studioso modificò parzialmente il giudizio, riconoscendo come musteriane le industrie scoperte negli strati più bassi scavati dal Rivière nella Grotta del Caviglione e al Bausu da Ture, ma attribuendo al Neolitico i livelli superiori, sulla base dei frammenti di un’ascia e di un anellone in pietra levigata, rinvenuti dallo stesso Rivière in posizione stratigrafica- mente molto dubbia.
Anche la datazione delle sepolture rimase a lungo controversa: mentre il Rivière le attribuì giustamente al Paleolitico superiore, confortato dall’opinione dell’antropologo E.T.Hamy che ne sottolineò le affinità nel rito funebre e nel materiale archeologico associato, come pure nello stesso tipo umano rappresentato, con le coeve sepolture francesi di Cro-Magnon, in Italia l’attribuzione al Neolitico trovò un autorevole sostenitore in L.Pigorini, che privilegiava il confronto con le sepolture scoperte in quegli anni alle Arene Candide nel Finalese, per l’analogia di alcuni aspetti come l’uso dell’ocra e la deposizione su un fianco a ginocchia flesse.
Rivière portò i reperti in Francia, dove sono tuttora conservati al Musée de l’Homme di Parigi e al Musée des Antiquités Nationales di St.Germain-en-Laye, e sintetizzò i risultati delle sue ricerche in un importante volume: Paléoethnologie. De l’Antiquité de l’Homme dans les Alpes- Maritimes, Paris 1887.
Il limite principale dell’opera del Rivière, a parte il metodo non stratigrafico degli scavi, eseguiti per tagli artificiali, è quello di considerare la presenza umana ai Balzi Rossi sostanzialmente riferibile ad un unico momento del Quaternario, come sarebbe dimostrato dall’uniformità della fauna presente nei depositi da lui esplorati. Elementi di industrie litiche di diversa età, già distinte in Francia dal de Mortillet,sono così ritenuti convivere nel medesimo ciclo di frequentazione senza un reale processo di sviluppo diacronico. Anche l’importante osservazione della presenza di industria litica su quarzarenite anziché su selce nei livelli più bassi della Barma du Bausu da Ture e della Grotta del Caviglione viene interpretata non come indizio dell’esistenza di successive ed autonome fasi dotate di un certo spessore cronologico, ma come momento iniziale della frequentazione antropica della zona, in cui gruppi umani appena giunti sul posto non sarebbero stati in possesso della conoscenza del territorio necessaria per procurarsi il materiale migliore.
Industria litica dalle grotte dei Balzi Rossi. Grandi lame e raschiatoi. Questa illustrazione, come le tre seguenti è riprodotta dal volume: E. Rivière, Paléoethnologie. De l’Antiquité de l’Homme dans les Alpes-Maritimes, Paris 1887.
Prima sepoltura paleolitica scoperta ai Balzi Rossi (26 marzo 1872). Scavi Rivière nella Grotta del Caviglione. L’illustrazione è stata ricavata da una fotografia eseguita al momento della scoperta.
Capo, torace e arti superiori dello scheletro dell’illustrazione precedente. Sul capo si nota la disposizione della “cuffia” di conchiglie e canini di cervo.
Sepoltura dei due fanciulli scoperta il 7 luglio 1875 dal Rivière, nella grotta che da loro prende il nome. La regione addominale degli scheletri era ricoperta di conchiglie forate (Nassa neritea), che dovevano coprire una specie di cintura o perizoma.
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L’UOMO DI MENTONE (http://books.googleusercontent.com)
Peu de recherches présentent un intérét aussi grand et aussi légitime que celles de l’histoire primitive de l’homme. Aussi est-ce un des plus nobles titres de la Science moderne que d’avoir ajouté une période nouvelle à la sèrie des faits que l’histoire nous a transmis. S’il est, en effet, possible de connaitre avec une assez grande exactitude l’industrie des hommes de l’Age de pierre, en revanche, les notions que nous avons pu acquérir sur ces races primitives elle-mémes se qont longtemps réduites, mème aprés la dècouverte des silex taillés, des haches et autres ustensiles, àquelques probabilités. La présence d’ossements humains mélés à ceux de l’ours et de l’hygiène des caverncs, races aujourd’hui éteintes, fut signalée dès 1774. En 1863, M. Bouclier de Perthes découvrit, dans les terrains d’Abbeville qu’il explorait depuis plusieurs années, une machoire qui, par sa présence méme dans ce dépôt diluvien, souleva des discussions scientifiques d’une portée considérable. Dès lors, les archéologues, en multipliant leurs investigations, ne cessèrent d’augmenter le nombre des documents relatifs à cette interessante question. Des fouilles exécutées rècemmcnt dans le département de la Dordogne avaient déjà offerì un squelette presque complet de l’homme des cavernes, lorsqu’une découverte inattendue est venue fournir les renseignements les plus complets en méme temps que les détails les plus curieux.
M. le docteur Rivière, chargé par le gouvernement franaçais d’une mission scientifique, fouillait depuis plusieurs mois lescavernes des Baoussé-Roussé (les rochers rouges), près de Menton: des instruments de silex taillé, un trés-grand nombre d’ossements d’ours et de boeufs, étaient les seuls objets qui se fussent jusqu’alors présentés à ses investigalions. Le 26 mars dernier, en creusant à une profondeur de 6 métres environ au-dessous du sol primitif de la caverne, il vit apparaître plusicurs os qu’il reconnut pour appartenir a un pied humain. Ne doutant pas qu’un squelette entier ne fùt enfoui à cet endroit, M. Rivière se mit en devoir de procéder à rexhumation de ces antiques débris. Ce genre de travail était d’une grande difficulté; l’incertitude de la position occupée par le squelette, la friabilité méme d’ossements aussi anciens, exigeaient des précautions infinies. M. Rivière ne parvint à opèrer un dégagement complet qu’après huit jours d’un travail incessant; il put alors étudier et admirer en méme temps sa curieuse découverte.
L’homme de Menton (1) est étendu sur le sol, dans l’attitude du sommeil; sa main gauche est appuyée contre sa màchoire inférieure; sa droite, ramenée vers la poitrine, semble inerte et mollement abandonnée; les jambes sont croisées l’une sur l’autre et fléchies, comme il arrive souvent pendant le repos. Aucune contraction ne dénote une agonie douloureuse: la disposition des membres, au contraire, indique une posture naturelle; peut-être la mort l’a-t-elle surpris pendant son sommeil. Son bras gauche présente près du poignet un bourrelet osseux, indice d’une fracture de ce membre produit pendant la vie. L’ampleur remarquable des fémurs, la grosseur des traces d’insertion des muscles de la jambe, accusent un développement considérable de force. Le cràne, quoique déprimé à l’occiput, est d’une belle forme; l’angle glacial est très-ouvert; les dents, parfaitement en place, présentent une bìzarrerie fort curieuse: elles sont usées profondément et d’une manière égale, de telle sorte que les incisives sont presque aussi plates que les molaires, et que cette dentition ressemble à celle d’un ruminant.
Mais ce qui, surtout, est bien digne de fìxer l’attention, ce sont les détails de parure que portait cet homme, et que les soins minutieux de M. Rivière ont pu conserver et recueillir. Le cràne était couvert, au moment de la découverte, d’une sorte de coiffure formée d’une infinité de petites coquilles, chacune percée d’un trou; plusieurs dents de cerf également perforées avaient dù y être attachées, et une grande épingle faite d’un os effìlé, de 0m.17 environ, était plantée au-dessus du front. Un bracelet de coquilles semblables à celles de la coiffure, ornait une des jambes et était situé un peu plus bas que le genou. L’homme de Menton avait encore sur la poitrine un os assez volumineux, largement percé à une de ses extrémités, et qui parait avoir été attaché à son cou comme une marque distinctive. Deux pointes de flèche en silex étaient près de lui, ainsi que plusieurs autres ustensiles dont l’usage est moins facile à déterminer.
Des pierres calcinées par le feu, des traces de charbon, restes d’un campement, sont visibles sur le sol méme où repose le squelette.
Cette découverte est la plus complète que l’on ait faite en ce genre. On a réussi à extraire de la caverne et à rapporter à Paris toute la portion du sol sur lequel est fixé l’homme de Menton, opération qui a demandé au savant docteur un mois et demi du travail le plus pénible.
(1) Le mot Troglodyte, par lequel on désigne souvent l’homme de l’époque quaternaire, ne parait pas devoir étre conservé. Les recherches faites récemment tendent à démontrer que ces peuples avaient une existcnce nomade et vivaient de chasse et de péche; ils n’habitaient pas exclusivement les cavernes, ils s’y réfugiaieut quelquefois.
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L’HOMME FOSSILE DI MENTON
Dr Felix Garrigou, Les Grottes de Menton et la question de l’homme fossile, La Nature – Revue des sciences, N° 1 à 26, 1873 (pp. 169-171).
Uomo di Mentone dalla rivista Nature 1873 (www.environnement.ecole.free.fr)
La découverte d’un squelette humain, dans l’une des grottes de Menton, a produit, on se le rappelle, un véritable événement dans le monde savant ; elle s’est présentée comme un nouvel et frappant exemple de l’homme fossile.
Cette découverte a déjà été l’objet de bien des commentaires, mais elle offre à la critique quelques caractères saillants que l’on a omis d’exposer jusqu’à ce jour et que nous croyons intéressant de passer en revue.
Chargé par M. le ministre de l’instruction publique de faire des fouilles dans les cavernes de Menton, déjà explorées par plusieurs savants, M. le Dr Rivière étudia neuf grottes, situées sur le territoire italien, au voisinage de la frontière. Ses recherches le mirent bientôt en possession de nombreuses pièces qui se présentèrent comme l’affirmation des assertions émises avant lui par MM. Antonio Grand, Forel (de Morges), Geny, Pérès, Issel, Chantre, Bonfils, Moggridge, etc., à savoir que l’homme préhistorique avait habité ces cavernes.
Les grottes de Menton sont creusées, ainsi que j’ai pu le vérifier par moi-même, non dans le crétacé inférieur, comme l’a écrit M. Rivière, d’après les auteurs de la carte géologique de France, mais dans le calcaire garumnien, immédiatement au-dessous de l’étape tertiaire nummulitique, si bien développé aux environs de Vintimille, entre cette ville et celle de Menton. De larges failles, probablement post-éocènes, ont donné lieu au creusement naturel de ces cavernes et même de quelques-uns des abris décrits par M. Rivière,
Les fouilles dirigées par cet observateur ont été conduites avec un grand soin, sinon une grande expérience ; ses descriptions se ressentant en effet du peu de pratique du chercheur, elles sont quelquefois ou diffuses ou incomplètes. Il n’en faut pas moins reconnaître que M. Rivière a fait preuve d’une rare persévérance dans ses recherches, dans ses travaux, et que cette pratique des fouilles qui lui faisait défaut à l’origine, il l’aura certainement acquise dans le cours de ses belles découvertes.
Il résulte de l’ensemble des investigations de notre confrère, que généralement à la partie supérieure d’un certain nombre des cavernes étudiées, gisent des instruments et des outils de l’époque préhistorique qui a immédiatement précédé, dans l’ouest de l’Europe, l’apparition des métaux. Au-dessous des couches de la surface, abondent des débris d’industrie humaine indiquant une civilisation bien plus primitive, en même temps que la superposition des amas, leur assignait une antiquité plus considérable. C’est dans ce dépôt ancien qu’a été retrouvé, à une profondeur de 6m,55, le fameux squelette humain dont nous représentons l’aspect. Le terrain paraissant vierge de remaniement, il était naturel de penser et de dire, ainsi que l’a fait M. Rivière, que le squelette était contemporain du dépôt qui l’entourait. Mais quel est l’âge géologique et paléontologique de ce dépôt ? c’est ce qu’il est impossible d’affirmer d’une manière parfaitement exacte d’après la description de M. Rivière.
En effet, tandis que certaines espèces de la faune, entourant ce squelette, permettent de désigner une époque paléontologique ancienne, l’étude des instruments en os, et en pierre, celle de la parure encore attachée au squelette, semblent nous conduire à une époque plus récente.
La présence de l’ursus spelœus, du felis spelœa, et des autres felis ; de l’hyena spelœa, du rhinocéros tichorrinus, du bos primigenius (urus), parait bien indiquer qu’il s’agit d’un gisement datant de l’époque paléontologique quaternaire la plus ancienne (époque de l’ours). La découverte de types d’instruments en pierre, semblables à ceux du Moustier, confirme encore cette hypothèse.
Mais, d’autre part, l’abondance des cerfs de diverses espèces (il y en a cinq), et des autres ruminants de petite taille, la présence du chamois surtout, que je ne connais guère, pour ma part d’une manière authentique, que dans les gisements postérieurs à ceux de l’âge de l’ours, la multiplicité de fort beaux poinçons en os, à formes caractéristiques, des aiguilles, des ciseaux, des lissoirs, un bâton de commandement, le tout également en os, la parure si distinctive du squelette, la similitude de cette parure avec celle de l’homme fossile du Périgord découvert par MM. Massena, Lalande et Cartailhac, dans un gisement incontestable de l’âge du renne, la ressemblance enfin de cet homme avec celui de Cra-Magno, me font penser qu’il y a là toute une série d’objets d’un âge postérieur à celui de l’ours, c’est-à-dire de l’âge du renne.
Mais, dira-t-on, comment est-il possible d’affirmer que la seconde série de pièces citées appartiennent à l’âge du renne, puisque le renne ne se trouve pas lui-même parmi les cerfs énumérés par M. Rivière. La réponse est aujourd’hui facile à faire.
Bien que l’on n’ait pas encore terminé d’étudier en Italie, les nombreuses grottes dont ce pays abonde, les recherches des Capellini, des Regnoldi, des Belluci, des Issel, des Scarabelli et de tant d’autres géologues célèbres dont nous avons admiré les collections au cinquième congrès préhistorique de Bologne, ont prouvé que le renne n’existe pas dans les débris paléontologiques fournis par les grottes de l’ancien Piémont. Cependant l’industrie caractéristique de cette époque s’y dessine d’une manière tellement nette, qu’il a été possible à tous les archéologues français du congrès, de dire sans hésiter : « Voilà une industrie exactement contemporaine de celle que le renne caractérise en France par sa présence. »
Du reste, nous pouvons voir aujourd’hui, grâce au progrès de la géologie, que des glaciers avoisinaient toujours les régions dans lesquelles les rennes abondaient. Or, les côtes de la Méditerranée n’ont jamais fourni des moraines glaciaires ; il est donc permis de penser que le renne ne pouvait pas y vivre, puisque d’ailleurs l’étude de son émigration permet de le suivre remontant vers le nord, à mesure que les glaciers ont disparu presque complètement du centre et de l’ouest de l’Europe.
Pendant que le renne était ainsi limité dans certaines régions de la France et disparaissait ensuite, la civilisation de cette époque suivait sa marche d’ascension et de statu quo ; elle se répandait dans de solides conditions pour ne s’effacer qu’à la longue, après avoir imprimé les mêmes usages à des peuplades fort éloignées les unes des autres, mais qui cependant avaient déjà des habitudes de voyages et d’échanges.
Ce n’est guère, en effet, qu’à l’époque du renne que nous voyons, pour la première fois, dans les dépôts renfermant les débris de la civilisation de cette époque, des objets caractéristiques d’un pays, transportés par l’homme dans un autre. C’est ainsi que les coquilles du bord de l’Océan ont été portées sur les bords de la Méditerranée, dans les grottes de Menton, par les hommes contemporains de celui que nous devons aux recherches de M. Rivière.
L’homme fossile de Menton paraît être un représentant, non des peuplades de l’ours, ainsi que l’a cru M. Rivière, mais bien de celles de l’âge du renne. Il a probablement été inhumé dans une grotte antérieurement habitée par l’homme à l’âge de l’ours. Le remaniement de la caverne aura passé inaperçu pendant les fouilles.
Dans un prochain article nous compléterons ces aperçus en donnant un résumé de la question générale de l’homme fossile, de manière à bien faire saisir au lecteur le côté géologique et paléontologique de cette nouvelle branche de la science. Nous le mettrons en mesure de porter lui-même un jugement sur la grande signification philosophique et morale des découvertes si instructives et si nettes, que l’on doit à ce sujet, aux savants de notre siècle.
Dr F. Garrigou.
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Cartello 5
Nuovi scavi vennero intrapresi negli anni 1882 e 1883 dal principe Alberto I di Monaco con la collaborazione di G.Saige, conservatore degli archivi di palazzo del Principato.
Per la prima volta l’interesse fu indirizzato all’ acquisizione di conoscenze attraverso l’ utilizzazione di metodi di scavo più rigorosi, con una precisa documentazione della stratigrafia e un’attenta attribuzione dei materiali ai diversi livelli identificati.
I lavori furono limitati alla parte media del riempimento della Barma Grande e in particolare ad un anfratto della parete sinistra, dove in una profondità di un metro e mezzo vennero identificati tre livelli ricchi di resti ossei di Orso, Cervo, Stambecco e Felidi. I reperti, minuziosamente classificati, furono inviati a Parigi.
La situazione della Barma Grande, ormai ampiamente sconvolta dalle precedenti ricerche, non sembrò però la più adatta a fornire i risultati sperati; cominciò cosi a maturare l’ intenzione di intervenire su un giacimento ancora intatto; la Barma del Ponte (poi Grotta del Principe).
Controversie con i proprietari dei terreni costrinsero però il principe Alberto ad abbandonare momentaneamente le ricerche.
La ripresa di semplici recuperi di pezzi, come quelli operati da J.C. Schultz (1882- 1883) e da G.B. Rossi (1887-1890), che fecero giungere a Berlino e a Genova nuovi lotti di materiali dei Balzi Rossi, e la difficoltà ad organizzare nuove campagne di scavo organiche per episodi di vandalismo, che scoraggiarono un tentativo del prof. L. Orsini di riprendere i lavori alla Barma Grande (1883), furono il preludio di una delle fasi più travagliate delle ricerche ai Balzi Rossi, ricca di importanti scoperte non supportate purtroppo da un adeguato rigore scientifico nella raccolta dei dati.
Nel 1883 l’area in cui si trovavano la Barma Grande e la Barma du Bausu da Ture divenne proprietà della famiglia Abbo, che vi impiantò ben presto una cava di calcare, eliminando nel giro di pochi anni lo sperone roccioso in cui si aprivano. La Barma du Bausu da Ture fu così distrutta, mentre la Barma Grande venne mutilata di parte della parete orientale.
Nelle ricerche subentrò un collezionista e mercante di antichità locale, L. Jullien, che esplorò quasi tutte le grotte senza eseguire mai scavi supportati da idonea documentazione. Nel 1884 Jullien scoprì nella Barma Grande, a circa otto metri e mezzo di profondità dalla superficie originaria, una nuova sepoltura, che andò poco dopo distrutta e i cui resti vennero acquisiti dal Bonfils ed esposti al Museo di Mentone. Nel corso di questa attività furono raccolte anche le famose statuette femminili (“veneri”), vendute successivamente a Parigi dal Jullien ad E.Piette, una delle prime testimonianze di arte paleolitica ad essere scoperte ed identificate.
I lavori di cava avevano nel frattempo intaccato anche il deposito della Barma Grande e nel 1892 lo scavo di una trincea mise in luce la celebre triplice sepoltura, a circa 11 metri dal livello originario. Il Ministero della Pubblica Istruzione inviò A. Issel con il compito di salvaguardare i resti così scoperti, ma la distruzione del deposito proseguì ancora, tanto che due nuove sepolture vennero alla luce nel 1894, sempre nel corso degli sterri legati all’attività di cava.
Solo il mecenatismo di sir T.Hanbury, che fece costruire a sue spese l’edificio ubicato davanti alla Barma Grande, permise l’istituzione di un Museo (1898) e la conservazione sul posto dei materiali raccolti dagli Abbo (scheletri umani, reperti faunistici e manufatti), alcuni lasciati in situ all’interno della grotta, in vetrine cui si accedeva mediante tre passerelle appositamente costruite.
A seguito di queste nuove scoperte si riaccese il dibattito sull’età dei depositi e delle sepolture. Mentre Rivière continuò a sostenere l’attribuzione al Paleolitico superiore, altri studiosi (Jennings, Evans, d’Ault du Mesnil e in Italia il Colini) riproposero le erronee tesi della pertinenza al Neolitico delle sepolture o addirittura dell’intero deposito.
Nel 1921 la parte più occidentale della zona dei Balzi Rossi venne edificata e sistemata per accogliere una casa da gioco con annessi hotel, ristorante e giardini, cui si accedeva mediante un ardito ascensore che portava i clienti da Grimaldi Superiore alla scogliera sottostante, superando un dislivello di circa 80 metri.
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STORIA DEGLI SCAVI AI BALZI ROSSI
L’ interesse manifestato dal principe Alberto I, fin dalla sua giovinezza, per l’antropologia preistorica si era già concretizzato nel 1882-1883 con gli scavi alla Barma Grande.
Da questo primo contatto con il terreno e dai suoi rapporti con A. Gaudry, G. de Mortillet, M. Boule ed E. Cartailhac, il principe Alberto I aveva concepito le regole basilari di un metodo di scavo rigoroso, che desiderava sperimentare: “A mio avviso – scriveva – perchè uno scavo sia utile alla scienza, la prima condizione è che il ricercatore conosca la stratificazione del giacimento che esplora. Gli strati di un deposito sono come i fogli di un libro, i fossili e gli utensili le illustrazioni.”
Nel 1895, non appena acquisita la Barma del Ponte (da allora: Grotta del Principe), il canonico Louis de Villeneuve fu incaricato dal Principe di mettervi in opera il suo metodo, che consisteva essenzialmente nella tenuta di un giornale di scavo, nell’eliminazione del deposito per strati successivi accuratamente quotati su sezioni, nella setacciatura del terreno e nella siglatura dei pezzi.
GROTTA DEL PRINCIPE
Quando iniziarono gli scavi, il 22 aprile 1895, il riempimento della grotta, praticamente intatto, raggiungeva la volta.
Le ricerche interessarono 4.000 m3 di materiali, tra cui enormi blocchi e potenti pavimenti stalagmitici che imposero anche l’impiego di esplosivi.
Gli scavi furono diretti da M. Boule e L. de Villeneuve. Alla fine (1898), la stratigrafia del riempimento, ancora leggibile sul testimone conservato sulla parete orientale, fu stabilita come segue:
1 – Alla base, una formazione marina tirreniana (spessore m. 2 ) ad elementi senegalesi: Strombus bubonius, Conus testudinarius … (Eutirreniano di E Bonifay e P. Mars), che posa direttamente sui calcari marnosi subverticali del Cenomaniano (quota 10).
2 – Strato E (spessore: cm. 70-90), in leggera pendenza verso il mare. Si tratta di una breccia estremamente cocrezionata alla parete occidentale.
Ha restituito una fauna definita “calda” (Elefante antico, Rinoceronte di Merck, Ippopotamo, Cavallo, Cervo, Orso bruno, Iena delle caverne) e un’industria levalloiso-musteriana assai rozza.
3 – Strato D (spessore: m. 4-5 all’entrata, 1 verso il fondo). In pendenza verso l’interno della grotta, è formato da brecciame in matrice di argilla rossa e comprende numerose tracce cineritiche nella parte anteriore, che si uniscono in uno spesso focolare nell’area più interna. Ha fornito una fauna e un’industria simili a quelle dello strato E.
4 – Strato C (spessore: m. 2). All’ entrata della grotta è costituito da pietrisco fortemente concrezionato; verso il fondo muta gradualmente in limo argilloso. Contiene ancora il trio tipico della fauna “calda” (Elefante antico, Rinoceronte di Merck, Ippopotamo) ma appaiono Camoscio, Stambecco, Lupo e Orso speleo. L’industria è musteriana.
5 – Strati B e A (spessore: m. 3) . Formano un insieme di brecce crioclastiche. Lo strato B contiene numerosi focolari, la fauna, a carattere chiaramente freddo, comprende soprattutto: Renna, Ghiottone, Marmotta, Stambecco, Camoscio. L’industria è attribuibile al Musteriano.
In questo insieme würmiano, numerose croste e pavimenti stalagmitici mettono in evidenza episodi temperati: alla sommità del Tirreniano (Riss – Würm), tra gli strati E e D (Würm Ia – Würm Ib), tra C e B (Würm II), a livello del focolare A (Würm II-Würm III).
In una relazione rimasta inedita, L. de Villeneuve fa riferimento a testimoni di riempimenti anteriori al Tirreniano e al Würm riconosciuti “sia in frammenti staccati, sia in una potente coltre aderente alla parete orientale”. Queste brecce più antiche sono state esplorate dal Museo di Antropologia Preistorica di Monaco (L. Barral, S. Simone) a partire dal 1966.
1 Veduta generale dei Balzi Rossi, presa dal mare all’epoca degli scavi promossi dal Principe Alberto I (1895-1902).
2 Sezione stratigrafica longitudinale della Grotta del Principe (scavi 1895-1898).
3 La Grotta del Principe alla fine degli scavi promossi da Alberto I di Monaco.
Fig. 4. Sepoltura singola maschile di un individuo tipo Cro-Magnon scoperta nella grotta dei Fanciulli (1901). La sepoltura come ricostruita in Museo (a sinistra) e particolari del cranio (a destra).
Le illustrazioni sono state ricavate dalle lastre originali gentilmente fornite dal Musée d’Anthropologie Préhistorique del Principato di Monaco.
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STORIA DEGLI SCAVI AI BALZI ROSSI
GROTTA DEI FANCIULLI
Gli scavi eseguiti da L. de Villeneuve iniziarono il 22 aprile 1900, interessando dapprima il testimone lasciato da E. Rivière, ampiamente intaccato dall’ installazione di un precedente forno da calce.
I° taglio. Il ravvivamento della sezione di scavo mise in luce (focolare A) la mandibola di un bambino più piccolo di quelli rinvenuti nel 1874 al livello del focolare C. Sul focolare B fu invece scoperta, il 31 maggio 1900, la sepoltura di una donna che giaceva a m 1,90 di profondità con corredo di conchiglie. Focolare C (profondità m.2,5). Fauna: Cinghiale, Cervo, Capriolo, Renna.
II° taglio. Focolare D (profondità m.3,20). Terra grigiastra con molti ciottoli e ceneri. Fauna: Cinghiale, Cervo, Capriolo, Stambecco, Volpe, Coniglio ed altri Roditori.
III taglio. Focolare E (profondità m.4,20). Terra grigiastra e ceneri. Fauna: Cinghiale, Capriolo, Cervo, Daino della Somme, Stambecco, Camoscio, Donnola e Roditori.
IV° taglio. Focolare F (profondità m.5). Livelletti cineritici e terreno ricco di ciottoli.
Fauna: Cavallo, Capriolo, Cervo, Daino della Somme, Stambecco, Bovidi, Volpe, Lupo, Orso speleo, Iena, Leone delle caverne e Lince.
V° taglio. Focolare G (profondità m.6, spessore m.1). Sotto un livello a grossi blocchi, terra ricca di ciottoli e cenere. Fauna: Cavallo, Asino, Cinghiale, Capriolo, Cervo, Daino della Somme, Renna, Stambecco, Lupo, Volpe, Uro, Pantera, Coniglio.
VI° taglio. Strato sterile di terra ricca di ciottoli.
VII° e VIII° taglio. Focolare H (profondità m. 7,05). Livello di argilla rossa ricca di ciottoli (spessore da 75 a 85 cm.). Focolare I (profondità m. 7,75). Fauna: Cavallo, Cinghiale, Stambecco, Capriolo, Cervo, Orso speleo, Iena, Camoscio e Pantera.
Nel corso della scavo del VII° taglio, il 3 giugno 1901, apparve a circa m. 7,5 di profondità un cranio umano colorato di ocra rossa, protetto lateralmente da un blocco di roccia e sormontato da un altro.
L’VIII° taglio fu avviato per permettere di raggiungere il livello del cranio su una superficie più grande Questo nuovo taglio il 3 giugno 1901 incontrò, a m 7,05 di profondità (cioè al livello del focolare H), un altro scheletro, appartenente ad un individuo molto alto di sesso maschile, con evidenti caratteri del tipo di Cro-Magnon. Il 24 giugno 1901 fu infine rinvenuto un terzo scheletro a fianco del cranio posto al livello del focolare I: la sepoltura inferiore, che si rivelò doppia, comprendeva i resti di una donna matura e di un adolescente maschio. Si tratta della famosa sepoltura dei cosiddetti “negroidi”, che venne attribuita ad un nuovo tipo umano: la “razza di Grimaldi”. La testa dell’adolescente e l’avambraccio sinistro della donna erano ornati rispettivamente di una cuffia e di braccialetti di conchiglie marine (Nasse).
IX° e X° taglio. Focolare K. Letti di ceneri più o meno discontinui in terreno grigio ciottoloso. Focolare L (profondità m.9). Strie cineritiche con sacche argillose rossastre. Fauna: Rinoceronte di Merck, Cavallo, Cinghiale, Capriolo, Cervo, Stambecco, Lupo, Orso bruno e speleo, Iena, Leone delle caverne, Pantera e Lince.
Per quanto riguarda le industrie litiche, il livello più basso fu attribuito al Musteriano e quelli soprastanti all’Aurignaziano; fu inoltre notata la presenza di microliti e geometrici nei primi due tagli. Una recente revisione dei materiali, eseguita da A. Palma di Cesnola, ha permesso di meglio definire secondo le attuali classificazioni la successione dei complessi tecno-culturali nella grotta dei Fanciulli, attribuendo i focolari C e D all’Epigravettiano finale, il focolare E all’Epigravettiano evoluto, il focolare F all’Epigravettiano antico, il focolare G al Gravettiano finale, i focolari H ed I a Gravettiano ed Aurignaziano commisti, il focolare K all’ Aurignaziano I e il focolare L al Musteriano.
Del focolare B si possiede inoltre una datazione radiocarbonica: 12.200 ± 400 BP (cioè circa 10.000 anni A.C.).
Le osservazioni relative alle tre sepolture messe in luce da L. de Villeneuve nella grotta dei Fanciulli: scavo di fosse, parziale protezione con cassette litiche, corpi cosparsi di ocra rossa, presenza di ornamenti di conchiglie, contribuirono a dimostrare, fin dal 1901, l’esistenza di veri e propri riti funebri nel Paleolitico superiore.
GROTTA DEL CAVIGLIONE
L. de Villeneuve praticò un saggio di scavo anche alla base del deposito della Grotta del Caviglione, precedentemente esplorata dal Rivière, a partire dal 2 gennaio 1902.
A m. 4,70 dalla superficie del vecchio livello superiore, sotto uno smottamento e una lastra calcarea originati dalle pareti, de Villeneuve rinvenne tre focolari in un terreno grigio polverulento e ricco di cenere, alle quote assolute di m. 19, m. 18 e m. 16,25. La fauna comprendeva Cavallo, Cervo, Elefante antico, Rinoceronte di Merck ed Orso speleo; l’industria è musteriana.
I risultati degli scavi effettuati ai Balzi Rossi per iniziativa di Alberto I diedero luogo alla pubblicazione di un’opera molto importante: Les grottes de Grimaldi, 2 voll., Monaco 1906-1919.
La parte sulla storia delle ricerche si deve a L. de Villeneuve, quella geologica e paleontologica a M.Boule (degna di nota in particolare l’applicazione del metodo statistico nello studio di una serie di metapodi di Stambecco), quella antropologica a R.Verneau e quella archeologica a E.Cartailhac.
Fig. 1. La Grotta dei Fanciulli dopo gli scavi promossi dal Principe Alberto I di Monaco. (1900-1901).
Fig. 2. Testimone del deposito della grotta dei Fanciulli, dopo le campagne di scavo 1900-1901. Il cerchio indica l’ubicazione della sepoltura bisoma dei cosiddetti “negroidi”, il triangolo quella del grande scheletro maschile tipo Cro-Magnon.
Fig. 3. Sezioni stratigrattche delle grotte dei Fanciulli (scavi 1900-1901) e del Caviglione (1902).
Fig. 4. Veduta della Grotta del Caviglione dopo gli scavi del 1902.
Le illustrazioni sono state ricavate dalle lastre originali gentilmente tornite dal Musée d’Anthropologie Préhistorique del Principato di Monaco.
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STORIA DEGLI SCAVI AI BALZI ROSSI
L’ATTIVITA’ DELL’ISTITUTO ITALIANO DI PALEONTOLOGIA UMANA (I.I.P.U.)
Nel 1927 veniva fondato a Firenze l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, in continuazione dell’opera del “Comitato per le ricerche di Paleontologia Umana in Italia”, attivo sempre a Firenze dal 1913, e per iniziativa degli stessi studiosi, cioè del prof. Aldobrandino Mochi e del barone Gian Alberto Blanc, cui si aggiunse il conte David A. Costantini.
In quello stesso anno, su segnalazione del prof. Lidio Cipriani,venne accertata ai Balzi Rossi la presenza di notevoli depositi ancora in posto. Per mecenatismo del conte Costantini furono ripresi i lavori, che proseguirono per molti anni con numerose campagne di scavo.
La prima campagna, iniziata nel 1928 e continuata saltuariamente fino al 1930, fu dedicata all’ esplorazione della parte inferiore del deposito della Barma Grande, fortunatamente non toccata dagli scavi della cava Abbo (spiaggia tirreniana e strati musteriani), dei livelli musteriani della Grotta dei Fanciulli, la cui presenza era sfuggita ai ricercatori francesi, e al completo scavo della Grotta del conte Costantini (livelli musteriani e del Paleolitico superiore), così denominata in onore del finanziatore dei lavori, della quale si ignorava l’esistenza: fu scoperta accanto alla Grotta dei Fanciulli, rimuovendo un cumulo di materiali detritici che ne occultava l’ingresso.
Di tutte e tre le caverne venne raggiunto il pavimento roccioso.
Dopo una lunga pausa le ricerche sul campo furono riprese nel 1938, con l’esplorazione da parte di Luigi Cardini del deposito antistante alla Barma Grande (livelli musteriani con fauna “fredda”). Durante questo scavo vennero individuati nuovi depositi rimasti fino ad allora inosservati, che ebbero il nome di Riparo Bombrini e Riparo Mochi. Lo scavo del Riparo Mochi, iniziato nello stesso anno e più volte ripreso in seguito, si dimostrò di particolare interesse perchè fornì una serie stratigrafica ininterrotta dal Paleolitico medio all’Epipaleolitico, rendendo possibile ricostruire per la prima volta in maniera chiara la successione delle culture e definire le caratteristiche delle industrie litiche dei Balzi Rossi, dal momento che i precedenti lavori o erano stati condotti con criteri scientificamente carenti o avevano incontrato depositi stratigraficamente incompleti o comunque insufficienti ad un inquadramento complessivo.
L’importante complesso di materiali scavato a partire dal 1928 dall’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, nonostante alcune fondamentali pubblicazioni, non può essere ancora considerato sufficientemente illustrato.
Fig. 1. La grotta dei Fanciulli (a destra) e la Grotta del Conte Costantini (a sinistra) dopo gli scavi dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (1928-1930).
Fig. 2. Il Riparo Mochi durante una campagna di scavo dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (1941).
Fig. 3-4. La Barma Grande al termine della Seconda Guerra Mondiale. Sono evidenti i danni causati all’allestimento e al percorso di visita dagli eventi bellici.
Fotografie gentilmente fornite dall’ Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Gravi danneggiamenti furono arrecati al Museo e alla zona archeologica dei Balzi Rossi dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale, che causarono pure la parziale distruzione del complesso del Casinò. Nel 1942 furono costruite opere difensive nell’area antistante alle grotte, in parte ancora visibili, e nell’agosto 1944, dopo lo sbarco alleato in Francia, i Balzi Rossi divennero zona di combattimenti. Nella primavera del 1945 furono fatte esplodere alcune mine nel fondo della Barma Grande per ostruire, con il crollo del diaframma roccioso che la separava dal tunnel, la linea ferroviaria. Le sepolture paleolitiche esistenti nella grotta andarono completamente distrutte, come pure le ossa di Elefante conservate in situ, e anche il piccolo Museo fu gravemente danneggiato. Una parte del materiale preistorico potè tuttavia essere salvata grazie all’intervento di Luigi Cardini, che lo aveva preventivamente rimosso.
Il Museo Preistorico dei Balzi Rossi, ricostruito ed ampliato nel 1953-54, è stato riaperto come Museo Nazionale nel 1955, grazie alla donazione di esso e della Barma Grande allo Stato Italiano e dei materiali degli scavi Abbo all’Istituto Internazionale di Studi Liguri, da parte della Società Balzi Rossi che precedentemente lo aveva gestito.
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STORIA DEGLI SCAVI AI BALZI ROSSI
Agli inizi del Novecento più di 15 m del deposito della Barma Grande, contenente industrie del Paleolitico superiore, erano stati asportati da scavi e sterri; la cava Abbo, in particolare, aveva intaccato anche la sottostante serie del Paleolitico medio.
Dell’imponente stratigrafia restava dunque solo la porzione inferiore, sulla quale si concentrarono le ricerche dell’ Istituto Italiano di Paleontologia Umana.
Furono queste le uniche indagini archeologiche di un certo respiro condotte con criteri stratigrafici moderni nella Barma Grande, prescindendo dall’ottimo ma limitato lavoro eseguito sotto l’egida del principe Alberto I.
La prima campagna di scavo iniziò nel 1928 e proseguì, con brevi interruzioni, fino al 1930, sotto la direzione scientifica di A. Mochi e G.A. e A.C. Blanc con la collaborazione, tra gli altri, di P. Barocelli, L. Cardini, L. Cipriani, A. Gori, P. Graziosi e N. Puccioni. L’ indagine interessò il deposito archeologico interno, esplorato con una trincea di circa m. 12 x 4 per una profondità massima di m. 6, sino alla sottostante spiaggia fossile.
Nel 1938, con una seconda campagna di scavo, l’indagine fu estesa ai depositi esterni; per l’apertura di questa nuova trincea fu abbattuto il muro che chiudeva l’ ingresso della grotta. Anche in questa ulteriore indagine stratigrafica fu raggiunta la spiaggia fossile, sulla quale si concentrarono le ricerche di L. Cardini nel 1942.
Fig. 1. Posizione topografica delle grotte dei Balzi Rossi (in alto): ab, allineamento della sezione longitudinale: B6, Barma Grande; C, cava di calcare abbandonata.
Sezione longitudinale della Barma Grande (in basso) ricavata da rilievi topografici eseguiti all’epoca degli scavi: ab, livello del mare attuale: M1 muro di contenimento del viottolo attuale; SC1, rappresentazione parziale della trincea eseguita nel 1936; M2, muro di chiusura abbattuto durante i lavori di scavo nel 1938; SC2, trincea eseguita nel 1926-30; DE, FG, AB. CD, EF, GH, punti di rilevamento delle sezioni trasversali del deposito archeologico; L1, fascia di fori di litodomi compresa tra m. 21,7 e 23,2 in corrispondenza del solco di battigia; L2, fascia di fori di litodomi a m. 12,5; E, piano sul quale poggiava la “vetrina dell’Elefante”.
Fig. 2. Sezione longitudinale della Barma Grande, eseguita quando i lavori avevano interessato solo la trincea abAB. Sono ben visibili le passerelle che conducevano alle vetrine delle sepolture e, in basso verso il fondo della grotta, la vetrina con le ossa di Elefante Antico. M1, muro di contenimento; M2, muro costruito a chiusura della grotta dagli Abbo. In alto: planimetria della Barma Grande alla fine dello scavo 1926-30.
Fig. 3. Correlazione tra la stratigrafia del deposito interno ed esterno della Barma Grande. SC1, scavo del 1938; SC2, scavo del 1928-30: DE, FG, AB, CD, EF, GH, schema delle sezioni rilevate durante i successivi allargamenti dello scavo; i livelli di focolari sono resi in nero. In ordinate le altitudini, in ascisse la distanza dal fondo della grotta (da G.M. Bulgare!li, 1974).
STRATIGRAFIA
Il deposito indagato dall’I.I.P.U. comprende una serie di unità stratigrafiche depositatesi durante la prima parte della glaciazione würmiana (circa 80.000 – 40.000 anni da oggi), sovrapposte ad una potente formazione di spiaggia d’età tirreniana (circa 120.000 anni fa).
La stratigrafia è descritta a partire dall’alto e distinta tra deposito esterno, indagato nel 1938, e deposito interno, indagato negli anni 1928-30, correlati solo nelle unità 12 e 13 riferibili rispettivamente alla prima fase fredda del Würm e al precedente interglaciale. Infatti, mentre le unità 2-11 del deposito esterno sono attribuibili alla fase più avanzata del Würm antico, tutte le unità indagate nella porzione interna del deposito sono da riferire all’interglaciale e alla prima fase del Würm.
Deposito esterno.
1: strato superficiale di terreno rimaneggiato;
2-6: formazione detta a “terra rossa”, nella quale si succedevano i focolari A e B, che ha restituito abbondante industria litica;
7-11: formazione detta a “terra grigia”, nella quale erano compresi i focolari C e D, pure ricca di industria litica;
12: focolare E, aderente al sottostante deposito marino, con scarsa industria litica molto rozza;
13: formazione di spiaggia.
Deposito interno.
1: strato superficiale di circa 10 cm, considerato rimaneggiato dalle relazioni di scavo;
2: picco!o focolare denominato A, con industria poco abbondante;
3: strato di sabbia calcarea rossastra mista ad argilla, con frammenti di calcare provenienti dal disfacimento della volta; nel suo spessore presenta tracce di focolari; fauna e industria litica concentrate alla base dello strato;
4: strato di notevole spessore, indicato come il “Grande Focolare” (focolare B); la parte inferiore dello strato è terrosa e grigiastra con industria più abbondante e meglio conservata;
5: strato indicato come “loess grigiastro e giallastro”, di 10-15 cm. di spessore, contenente ossa combuste e pochi manufatti litici;
6: strato costituito da livelli successivi di ceneri e ossa bruciate (focolare C), con scarsi resti faunistici e di industria litica;
7: livello simile allo strato 5, ma più povero di reperti;
8: piccolo focolare (focolare D), con scarsi reperti; sempre secondo le relazioni di scavo il sedimento sarebbe costituito da loess grigio-giallastro”;
9: livello caratterizzato da “loess” con detriti calcarei, che nella parte inferiore e orientale passa ad argilla rossastra; l’industria litica e la fauna fossile sono molto scarse;
10: livello di carboni e ceneri (focolare E) con scarsi reperti;
11: strato contenente pietrisco e frammenti di ossa misti a terra grigiastra considerata come “loess”;
12: breccia di notevole spessore costituita da minuti detriti calcarei a spigoli vivi associati a rari ciottoli levigati, provenienti dalla spiaggia; la matrice è di argilla grigio-giallastra, intercalata da sottili depositi calcarei; per l’intero spessore fu notata la presenza di schegge d’osso, anche combuste, conchiglie e scarsissimi carboni vegetali;
13: potente formazione di spiaggia, che raggiunge lo spessore di m. 1,5 e s’appoggia al substrato roccioso fortemente inclinato verso l’interno della cavità; conteneva abbondante malacofauna e sulla sua superficie furono rinvenuti alcuni manufatti in calcare e resti ossei, tra i quali è notevoli la presenza di pachidermi.
INDUSTRIA LITICA
La scarsa industria litica rinvenuta alla sommità della formazione di spiaggia è caratterizzata da grosse schegge spesso rozze ed a tallone inclinato, più raramente di tecnica levallois, confezionate in selce e quarzarenite; tra i nuclei presenti alcune forme discoidali. Questi manufatti, accanto ad elementi pre-musteriani (schegge levallois, dischi), presentano ancora caratteri arcaici di tradizione tayaziana e sono avvicinabili a quelli provenienti dalla formazione di spiaggia della Grotta della Madonna dell’Arma (Arma di Taggia) e dallo scavo dell’ “ex-Casinó” dei Balzi Rossi.
Non è possibile definire le industrie provenienti dagli strati 11-6 del deposito interno, per la loro limitata quantità. Si tratta comunque di industrie musteriane con abbondanti raschiatoi ed una discreta presenza di schegge levallois.
Gli strati 5-2 del deposito interno hanno fornito sufficiente materiale per una più precisa definizione culturale; quest’industria è avvicinabile al “Musteriano di tipo charentiano”, caratterizzato da abbondanti raschiatoi trasversali e semplici convessi ottenuti spesso con un ritocco scalariforme, ma la mancanza di alcuni elementi tipici (limaces, tranchoirs, raschiatoi a ritocco bifacciale) e la scarsità del ritocco di tipo Quina concorrono a definire questo insieme di reperti come “Musteriano tipico ricco in raschiatoi”.
I manufatti provenienti dagli strati 11-2 del deposito esterno sono sempre di tipo musteriano, sebbene più raffinati, ma non sono ancora stati oggetto di studio.
Cartello 16
STORIA DEGLI SCAVI AI BALZI ROSSI
GLI SCAVI DELL’I.I.P.U AL RIPARO MOCHI
Il Riparo Mochi venne scoperto da G.A. e A.C. Blanc durante un sopralluogo eseguito il 9 aprile 1938, mentre nella Barma Grande erano in corso gli scavi dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, diretti da L. Cardini.
Venne immediatamente organizzata una campagna di scavo diretta da A.C. Blanc e L. Cardini, che ebbe luogo tra il 7 e il 31 maggio dello stesso anno.
Le successive campagne del 1941, 1942, 1949 e 1959 attraversarono il deposito dalla quota di m. 28,10 s.l.m. alla quota di m. 18,80, senza tuttavia raggiungerne la base.
STRATIGRAFIA
E’ stata messa in luce una stratigrafia articolata in vari livelli archeologici, intervallati da livelli sterili corrispondenti a periodi di abbandono, che traccia il percorso delle culture preistoriche avvicendatesi nel riparo.
– Perforazioni di litofagi sono visibili sulle pareti fra le quote 21,30 e 21,70. Esse documentano il livello raggiunto dal mare nell’interglaciale Mindel-Riss (intorno a 300.000 anni fa).
-Lo strato I è il più basso raggiunto dagli scavi ed è stato esplorato per uno spessore di m. 4,30. Formatosi durante la seconda fase del Würm (Würm II, circa 50.000-40.000 anni a.C.), esso ha fornito manufatti del Paleolitico medio ed è distinguibile in due porzioni : una inferiore, contenente numerosi manufatti verosimilmente ascrivibili ad un “Musteriano tipico ricco in raschiatoi”, ed una superiore, contenente un “Musteriano a denticolati di scheggiatura levellois e di facies non levallois”,
I resti faunistici, con abbondanza di Cavallo e Stambecco e presenza di Marmotta, documentano clima freddo e paesaggio scarsamente alberato, quasi una steppa.
– Lo strato H, corrispondente all’inizio del Würm III, presenta uno spessore di circa 60 cm. ed è pressoché sterile d’industria litica.
– Lo strato G, di uno spessore di circa 50 cm., è riferibile allo stadio Würm III A (circa 32.000-29.000 anni a.C.) ed ha restituito un’industria litica del Paleolitico superiore attribuita al Protoaurignaziano a lamelle Dufour.
– Lo strato F, dello spessore di 1 metro, si è formato nell’interstadio Würm IIIA-IIIB (tra 29.000 e 28.000 anni a.C. circa) ed ha fornito un’industria dell’Aurignaziano Classico.
– Lo strato E, corrispondente ad un’oscillazione climatica meno fredda del Wurm III, ha uno spessore di circa 20 cm. e contiene scarsa industria aurignacoide.
– Lo strato D, dello spessore di m. 1,60, è stato suddiviso durante lo scavo in vari livelli. Si è formato durante una fase della seconda parte del Würm III e contiene nella parte inferiore un Gravettiano indifferenziato a punte a dorso (circa 24.000-19.000 anni a.C.), e in quella medio-superiore un Gravettiano a bulini di Noailles (19.000-18.000 anni a.C.)
– Lo strato C, di circa 55 cm. di spessore, è riferito all’interstadio Würm III-IV e contiene un’ industria di grandi dimensioni di tipo Epigravettiano antico iniziale (circa 18.000-17.000 anni a.C.).
– Lo strato B, pressoché sterile, ha uno spessore di circa 60 cm.
– Lo strato A, anch’esso dello spessore di circa 60 cm., chiude superiormente il deposito. Contiene un’industria sulla cui determinazione gli studiosi, sono discordi. Per la presenza di strumenti geometrici microlitici (triangoli isosceli e scaleni, segmenti di cerchio) all’epoca della scoperta A.C. Blanc attribuì quest’industria al Mesolitico, vale a dire ad un periodo intermedio tra Paleolitico superiore (che termina intorno a 9.000 anni a.C.) e il Neolitico (che inizia intorno al 5.000 a.C.). L’interesse suscitato fu notevole, dato che fino a quel momento industrie di tipo mesolitico non erano state riconosciute in Italia. Più tardi Cardini parlò di Tardiglaciale e G. Laplace, che ha effettuato lo studio statistico di tutte le industrie degli strati superiori del Riparo Mochi, propose l’attribuzione all’Epigravettiano evoluto, corrispondente al periodo iniziale del Tardiglaciale, quindi ancora al Paleolitico superiore.
A. Palma di Cesnola ha avanzato il sospetto che lo strato A contenga un’industria eterogenea, frutto di mescolanza tra livelli dell’Epigravettiano antico e livelli mesolitici, ma più recentemente l’ha attribuita all’Epigravettiano finale, collocandola in una fase fredda del Tardiglaciale.
Fig. 1-2. Riparo Mochi in corso di scavo da parte dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (1) e al termine dei lavori (2). Fotografie gentilmente fornite dall’ Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Fig. 3.Riparo Mochi. La sezione stratigrafica rilevata da L. Càrdini.
Fig. 4. Diagramma pollinico dei livelli aurignaziani del Riparo Mochi, secondo lo studio di J.Renault-Miskovsky (1972).
GLI SCAVI DELL’I.I.P.U AL RIPARO MOCHI
Il diagramma pollinico della fig 4 è stato ricavato dall’esame di una serie di campioni prelevati nei livelli aurignaziani.
L’analisi comparata delle percentuali di pollini delle varie specie presenti nel deposito fornisce alcune informazioni sul paesaggio vegetale.
In particolare si nota l’esistenza di due tupi di associazioni, che coprivano ambienti diversi:
– sulle cime più vicine al mare e sui contrafforti delle montagne più interne si trovavano soprattutto conifere, associate a betulle verso le quote più basse;
– sul litorale vivevano essenze termofile di tipo mediterraneo: pino mediterraneo, olivastro, quercia.
Osserviamo, inoltre, come in accordo con le variazioni climatiche il paesaggio appare steppico, scarsamente alberato, ricco di erbacee, durante la fase fredda a Würm IIIA.
Segue un brusco aumento della boscosità denotato dai campioni 6 e 10, in corrispondenza del successivo interstadio a clima più umido, per ritornare a condizioni simili alle precedenti con il nuovo raffreddamento del Würm IIIB.
Cartello 25
RICERCHE E SCAVI RECENTI AI BALZI ROSSI
IL SITO DELL’EX-CASINO’
Si identifica come “ex-Casinò” un giacimento situato sulla fascia antistante alle grotte del settore occidentale dei Balzi Rossi, nel punto in cui agli inizi degli anni Venti, venne edificato il vasto complesso adibito a casa da gioco, albergo e ristorante.
Distrutti gli edifici a seguito di operazioni belliche, condotte in successive fasi dal 1939 al 1945. Nella zona rimasero per molti anni le macerie, fino a quando nel 1968 iniziarono i lavori di costruzione dell’attuale edificio residenziale.
Nel febbraio del 1968 i ricercatori del Musée d’Anthropologie Préhistorique de Monaco, che lavoravano alla Grotta del Principe, segnalarono alla Soprintendenza Archeologica della Liguria la presenza di reperti preistorici fra i terreni di sgombero che l’impresa edile aveva iniziato ad evacuare.
L’indagine venne affidata a personale de”Istituto Internazionale di Studi Liguri e si svolse dal 5 febbraio 1968 al 10 febbraio 1970.
I lavori di scavo e di ricerca furono condotti parallelamente ai lavori di costruzione dello stabile e il cantiere di scavo si spostò di volta in volta nei punti del talus venuti alla luce.
Fu messa in evidenza la grande trincea di scavo operata nel 1921 per dar spazio al corpo del Casinò, per una lunghezza totale di oltre 70 metri e per uno spessore alla sezione Nord fra i 6 e gli 8 metri. Con tutto il materiale di risulta all’epoca si costruì l’ampio terrapieno che ancor oggi permette di raggiungere il vecchio edificio del Museo Nazionale da Ponte S.Ludovico.
Nel corso di due anni ininterrotti di lavoro vennero via via scavati e studiati:
– depositi di breccia incoerente, posti a tetto della serie, databili all’interstadio Würm II IIIa al Würm III, contenenti industne aurignaziane arcaiche, per una superficie di circa 40 metri quadrati, relativamente poveri di reperti;
– alcuni lembi di breccia a matrice plastica, contenenti anche elementi di grandi dimensioni e ricca industria musteriana, databili al Würm I;
– tre lembi di sabbie e ghiaie marine, databili al Riss-Würm, localizzati in depressioni della piattaforma rocciosa tirreniana.
Trasgressione tirreniana del Riss-Würm
Alla base della stratigrafia del sito dell’ex-Casinò è stato rinvenuto ed osservato, su tutta l’estensione delle fondamenta della casa, lo zoccolo roccioso, in leggera pendenza verso Sud a circa 6-8 metri sul livello attuale del mare, sul quale precipita con un gradino di circa 5 metri.
L’aspetto della zona si presenta molto simile a quanto è ancora presente e visibile nel settore della Barma Grande e della Punta Garavano.
I tre testimoni di sabbie marine sono stati trovati in tre punti diversi dell’antica trincea, collegati dalla superficie rocciosa d’abrasione del mare tirreniano.
Tutti e tre i lembi si sono rivelati ricchi di esoscheletri di organismi marini, tra i quali vanno ricordati lo Strombus bubonius, per la definizione in senso caldo del mare, e il Glycymeris violacescens per la sua abbondanza.
In tutti i lembi di spiaggia sono stati rinvenuti strumenti litici, appartenenti ad un Musteriano arcaico, con aspetti molto differenziati: strumenti freschi, contemporanei alla spiaggia, strumenti fluitati ripresi in un secondo tempo. Nel lembo di spiaggia tirreniana meglio conservato è stata pure notata una serie di fratture intenzionali delle valve di Callista chione.
Analisi isotopiche dei carbonati delle conchiglie, effettuate da R. Letolle nel Laboratorio di Geologia Dinamica di Parigi, hanno permesso di situare i lembi marini dell’ex-Casinò in una fase relativamente tarda della trasgressione tirreniana. Questi depositi andrebbero pertanto a situarsi fra quelli della Barma Grande (più caldi) e quelli della spiaggia Arturo sulla Punta Garavano (più freddi).
Wurm I
I livelli del Würm I sono costituiti da una spessa coltre di brecciame a spigoli smussati, imballato in una matrice argillosa plastica di colore rosso vivo. Sono i livelli più ricchi della serie e le faune ritrovate, parzialmente erose e in cattivo stato di conservazione appartengono a : Bos primigenius (Uro), Dicerorhinus mercki (Rinoceronte di Merck), Sus scrofa (Cinghiale), Ursus sp. (Orso), Cervus elaphus (Cervo), Oryctolagus cuniculus (Coniglio).
L’ industria appartiene ad un Musteriano tipico, con buona presenza di utensìli di tradizione arcaica (grossi choppers e chopping-tools).
Verso il tetto dello strato i materiali clastici diventano sempre più frequenti.
Accanto ai materiali dello scavo dell’ex-Casinò, nelle vetrine sono presentati anche reperti provenienti dall’attigua area dell’ex-Birreria, scavata nel 1990-1992 per la costruzione del nuovo edificio museale. La stratigrafia di quest’area, affine a quella dell’ex-Casinò ma più completa nei livelli superiori, è dettagliatamente illustrata in situ.
Fig. 1. Lo scavo dell’ area dell’ex-Casinò dei Balzi Rossi (1968-1970).
Fig. 2. Veduta del cantiere di scavo dell’ area dell’ex-Casinò nel corso dei lavori.
Fig. 3. Area dell’ex-Casinò. Livelli marini del Riss-Würm.
Fig. 4. Area dell’ ex-Casinò. Sezione generale dello scavo fra la caverna dei Fanciulli e il mare attuale.
Fig. 5. Scavo dell’area dell’ex-Casinò. Sezione Nord dei terreni in corrispondenza del lembo marino denominato “spiaggia C”.
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RICERCHE E SCAVI RECENTI AI BALZI ROSSI
RIPARO BOMBRINI
Il Riparo Bombrini è menzionato per la póma volta nel 1938. quando venne effettuata da Luigi Cardini una trincea di scavo fra l’ingresso occidentale del tunnel ferroviario, il serbatoio dell’acqua (attuale magazzino della Soprintendenza) e l’ascensore dei Balzi Rossi (oggi demolito).
Lo scavo che Cardini vi effettuò fu una trincea lunga m 3,5 e larga m 1,8. per una profondità dì m 2,5 circa.
Per tutta l’estensione e per circa un metro di spessore lo Studioso rinvenne solo terreno rimaneggiato con presenza di vetri e ceramiche d’uso recenti.
Spostò quindi lo scavo verso l’ingresso del tunnel e verso la grotta del Caviglione, localizzando in sito alla profondità di circa un metro, con presenza di abbondanti materiali e livelli di focolare.
Nell’estate del 1976 venne eseguito uno scavo d’urgenza in una limitata area del talus, per poter permettere la posa di uno dei due piloni della passerella metallica, che tuttora dà accesso alle grotte, costruita in occasione del Congresso Mondiale di Preistoria (UISSP) di Nizza.
Dopo aver localizzato in modo preciso l’area di costruzione dei basamento in calcestruzzo, lo scavo, condotto su circa m. 6, incontrò livelli di breccia concrazionata, con notevole presenza di reperti litici ed ossei e una grande quantità di frammenti di valve di Mytilus sp.
Fu possibile mettere in evidenza tre strati, comprendenti complessivamente una decina di livelli, del Paleolitico superiore (Protoaurignaziano a lamelle Dufour) ed uno strato, anch’esso caratterizzato da abbondanti utensili ed ossa, riferibile al Musteriano finale, sul quale si arrestarono anche i lavori di ricerca, essendo stata raggiunta la profondità richiesta dalla messa in opera del pilone.
Dai livelli del Protoaungnaziano, caratterizzato dalle tipiche lamelle a ritocco erto alterno, vennero alla luce anche frammenti decorati (gli unici della lunga storia delle ricerche ai Balzi Rossi ad essere stati ritrovati in situ) ed un dente deciduo di bambino di circa sei anni (il più antico reperto umano del Paleolitico superiore in Liguria).
Lo scavo del Riparo Bomboni eseguito nel 1976 si è rivelato di notevole importanza, in quanto ha permesso di accertare in modo definitivo che il talus esterno alle grotte conserva ancora oggi notevoli possibilità di indagine, soprattutto per un punto cruciale della storia evolutiva dell’Uomo, quale appunto la fase di transizione uomo di Neandedal – uomo del Paleolitico superiore.
* * *
SEPOLTURE AI BALZI ROSSI
Cartelli e alcune immagini sono state fatte al Museo dei Balzi Rossi. Le riprese fotografiche sono state effettuate su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Sopraintendenza Archeologica della Liguria.
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LE SEPOLTURE DEL PALEOLITICO SUPERIORE
La formazione del deposito delle grotte dei Balzi Rossi risale essenzialmente al Paleolitico medio ed al Paleolitico superiore. Il primo periodo vede affermarsi in Europa popolazioni di tipo neandertaliano. distinte a livello sub-specifico (Homo sapiens neanderthalensis) da quelle anatomicamente moderne (Homo sapiens sapiens), che si diffondono con il Paleolitico superiore. Il limite fra le due fasi culturali si colloca intorno a 35.000 anni fa.
Ambedue le popolazioni lasciarono ai Balzi Rossi notevoli tracce della loro presenza, ma solo gli uomini del Paleolitico superiore utilizzarono le grotte a scopo sepolcrale, lasciandovi alcune fra le più rilevanti testimonianze dell’epoca.
La prima sepoltura venne alla luce nei 1872 nella Grotta del Caviglione, ad opera del Rivière. La tomba conteneva uno scheletro in connessione anatomica piegato sul lato sinistro, le mani in prossimità del volto, le gambe leggermente flesse. Le ossa ed il terreno circostante mostravano un’ intensa colorazione rossastra dovuta alla polvere d’ocra di cui era stata cosparsa la sepoltura. Il cranio era adornato di conchiglie marine e canini di cervo forati, fissati presumibilmente su di una sorta di copricapo. Altre conchiglie, probabile parte di un ornamento della gamba, si trovavano a livello dell’estremità superiore della tibia. Una deformazione della diafisi del radio sinistro, esito di una frattura guarita, attesta il superamento di un grave trauma.
Rivière stimò che la statura dell’uomo del Caviglione dovesse essere molto alta e mise in rilievo una serie di affinità morfologiche con il tipo di Cro-Magnon. Sotto questa denominazione si indica un tipo umano diffuso nel Paleolitico superiore, scoperto nel 1868 in un riparo sottoroccia in Dordogna, i cui tratti diagnostici sono il cranio allungato, la faccia bassa con orbite rettangolari, la grande robustezza dello scheletro e l’alta statura.
Successivamente Rivière esplorò anche la grotta detta del Bausu da Ture, nella quale rinvenne i resti di un adolescente e di due individui adulti, i cui caratteri fisici ed ornamenti non si discostavano da quelli dell’uomo del Caviglione.
Rivière ritenne che la statura dei due individui adulti dovesse raggiungere i due metri. Le stime si riveleranno esagerate e daranno luogo, assieme a quelle desunte dagli altri scheletri venuti alla luce negli anni seguenti, e vantazioni mitiche sulla statura degli uomini dei Balzi Rossi.
Oggi si può ragionevolmente supporre che la statura degli esemplari maschili adulti dei Balzi Rossi dovesse essere compresa tra i 180 e i 190 cm. Si tratta, nonostante un certo ridimensioamento, di misure notevoli che, assieme alle dimensioni trasversali e allo spessore della parte corticale delle ossa degli arti, si collocano spesso al limite superiore della variabilità delle popolazioni europee del Paleolitico superiore.
L’alta statura e la robustezza scheletrica sono caratteri ricorrenti nell’umanità di tale periodo. E’ possibile che queste caratteristiche si siano selettivamente affermate come conseguenza di un tipo di vita molto impegnativo sotto il profilo dinamico e muscolare, ed in particolare delle richieste funzionali di una economia che aveva un riferimento primario nella caccia a grandi mammiferi praticata con armi da usare a breve distanza con rapidità e potenza. E tuttavia, il grande rilievo assunto da tali caratteri nei maschi adulti della serie dei Balzi Rossi pone alcuni interrogativi sulla natura del campione e fa supporre che con queste sepolture si sia voluta porre in risalto l’importanza sociale dei cacciatori più vigorosi.
Nel 1873 Rivière iniziò l’esplorazione della cavità che prese il nome di Grotta dei Fanciulli per il ritrovamento, avvenuto l’anno successivo, dei resti di due bambini deposti l’uno accanto all’altro in posizione distesa.
In prossimità delle ossa dell’anca e dei femori erano disperse numerose conchiglie marine forate, probabile parte di un ornamento della veste. Il grado di maturazione dentaria, per confronto con gli standard attuali, riporterebbe l’età dei bambini a circa 2 e 3 anni rispettivamente.
Dieci anni più tardi, nell’inverno del 1884 L. Jullien, ottenuto il permesso di scavare alla Barma Grande, mise in luce una nuova sepoltura presso l’entrata della grotta: lo scheletro di un uomo adulto, pressoché completo ed in buono stato di conservazione, cosparso di ocra rossa ed accompagnato da belle lame di selce. La sepoltura venne predisposta per il trasferimento al Museo di Mentone, interessato all’acquisto, ma la ferma opposizione del proprietario della grotta alla rimozione dei resti accese una disputa, che si concluse nottetempo con la distruzione dello scheletro e la revoca del permesso di scavo al Jullien.
Le scoperte successive provengono ancora dalla Barma Grande dove, tra il 1892 e 1894, membri della famiglia Abbo , proprietaria della grotta, portarono alla luce due sepolture singole ed un caso eccezionale di sepoltura triplice.
Quest’ultima conteneva i resti di un maschio adulto e di due adolescenti di sesso non ben identificabile. I tre Individui erano stati sepolti nella stessa fossa, fianco a fianco, cosparsi di ocra rossa ed accompagnati da un ricco corredo comprendente conchiglie marine forate, canini di cervo, pendagli in osso lavorato, lame di selce straordinariamente lunghe.
Per quanto è dato oggi di sapere, la sepoltura non mostrava tracce di rimaneggiamento e gli scheletri erano ordinatamente disposti, possibili indizi di un contemporaneo seppellimento.
E’ interessante notare che tutti e tre gli individui presentano sulla parete destra della squama frontale una variante anatomica che suggerisce la possibilità di stretti rapporti genetici tra l’uomo adulto e i due giovani.
L’individuo adulto è caratterizzato da una statura che si avvicina a 190 cm. e da una notevole robustezza scheletrica.
Particolarmente sviluppate sono le misure trasversali delle ossa dell’arto superiore destro, che si collocano al vertice dei valori noti per l’umanità attuale e del passato Queste dimensioni, unite alle forti inserzioni muscolari e ai fenomeni di degenerazione artrosica di natura funzionale dell’articolazione del gomito, indicano una grande potenza unita ad intensa attività.
La prima delle due tombe trovate da Abbo alla Barma Grande conteneva i resti di un soggetto maschile adulto, notevole per la presenza, in forma molto accentuata, di un particolare tipo di usura dentaria che si manifesta negli interspazi dei denti posteriori sotto forma di solchi ben demarcati, del diametro variante da 3.5 a 0.5 mm., scavati alla base delle corone. I solchi sono di forma tubolare, o più spesso conica essendo più aperti dal lato delle guance che dal lato linguale, appaiono ben levigati ma, osservati al microscopio, mostrano una serie di fini striature parallele ad andamento bucco-linguale.
Alterazioni simili interessano anche la dentatura del maschio adulto della triplice sepoltura e quella di un altro soggetto maschile adulto rinvenuto nel 1901 nella Grotta dei Fanciulli. Considerata la forma, la posizione e l’orientamento, l’ipotesi più probabile è che tali modificazioni siano prodotte da sfregamento con strumenti flessibili e sottili che possono essere paragonati agli odierni stuzzicadenti.
L’altra sepoltura singola rinvenuta da Abbo era situata nella parte più interna della grotta e comprendeva parti molto incomplete e frammentarie riferibili ad un individuo adulto di sesso maschile. Il fatto che lo scheletro poggiasse sopra i resti di un antico focolare fu considerato indizio di un caso eccezionale di combustione del cadavere durante il Paleolitico superiore. Tale interpretazione può oggi essere esclusa e si pensa quindi che la deposizione del cadavere avvenne a contatto di focolare ormai spento.
Fig. 1. Particolare delle ossa dello scheletro dell’Uomo del Caviglione. E’ evidente una deformazione nella parte distale del radio sinistro, esito di una frattura consolidata. Tale alterazione attesta il superamento di un grave trauma e si presta a considerazioni di carattere sociale oltre che terapeutico.
Fig. 2. La parte destra della squama frontale di tutti e tre gli inumati della triplice sepoltura della Barma Grande presenta un solco venoso più o meno ben distinguibile a seconda dello stato di conservazione dei materiali. Si tratta di una variante anatomica piuttosto infrequente, per la quale si suppone una base ereditaria, indicativa della possibilità che l’uomo adulto e i due adolescenti fossero uniti da stretti rapporti genetici.
Fig. 3-4. L’arcata dentaria superiore dell’individuo n.4 della Barma Grande vista dal lato boccale (3) e linguale (4) mostra una singolare forma di usura costituita da solchi scavati alla base delle corone di alcuni denti posteriori. Forma, orientamento e posizione suggeriscono l’ipotesi che tale tipo di usura sia stata causata da sfregamento con strumenti flessibili e sottili quali gli attuali stuzzicadenti. Data la profondità delle alterazioni è necessario pensare ad un comportamento abitudinario, ripetitivo, non finalizzato alla semplice rimozione del cibo. L’ipotesi alternativa che si tratti del risultato di attività di lavoro eseguite trattando con i denti tendini sottili o fibre sembra poco plausibile, considerato che tali attività coinvolgono normalmente parti più anteriori della dentatura.
Fig. 5. I denti anteriori del soggetto maschile adulto della Grotta dei Fanciulli rivelano un forte arrotondamento labiale. Questo tipo di usura è riferibile ad un uso della dentatura quale “terza mano” , in attività di lavoro che comportano il trattenere e tirare materiali flessibili tra i denti.
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LE SEPOLTURE DEL PALEOLITICO SUPERIORE
Le ultime sepolture furono rinvenute ancora nella Grotta dei Fanciulli, nel corso degli scavi eseguiti da L. de Villeneuve su incarco del principe Alberto I di Monaco.
Dai livelli superiori, dai quali provenivano anche i resti dei bambini scoperti da Rivière, venne alla luce lo scheletro in cattivo stato di conservazione di una donna adulta, sepolta in posizione distesa.
Calco della sepoltura femminile paleolitica scoperta negli strati superiori della Grotta dei Fanciulli (focolare B). Scavi del Villeneuve. Dono del Musée d’Anthropologie Préhistorique del Principato di Monaco.
Procedendo nello scavo di livelli più bassi affiorarono i resti di un individuo maschile adulto deposto in decubito dorsale con le mani sul petto. Si tratta di un soggetto carattenzzato dalla consueta alta statura, di struttura vigorosa e dai tratti facciali cromagnoniani. La sua dentatura, come in tutti gli esemplan adulti dei Balzi Rossi, si presenta fortemente usurata e danneggiata da numerose fratture premortali che suggeriscono un’intensa attività masticatoria, di tipo alimentare e non alimentare, su materiali duri.
Il terzo ed ultimo ritrovamento, indubbiamente il risultato più appariscente degli scavi de Villeneuve alla Grotta dei Fanciulli, è costituito dalla celebre sepoltura duplice dei “negroidi di Grimaldi”. La tomba conteneva gli scheletri di un adolescente e di una donna adulta, descritti come portatori di caratteristiche diverse da quelle dei resti paleolitici fino a quel momento noti ai Balzi Rossi ed in Europa in genere. Si sostenne in particolare che la morfologia del cranio, della faccia e dello scheletro post-craniale era improntata ad un modello che deponeva in favore di una stretta somiglianza con le razze negroidi attuali. Un attento lavoro di revisione del materiale, condotto negli anni Sessanta, dimostrò tuttavia l’inconsistenza degli argomenti su cui poggiava la diagnosi.
L’accuratezza usata dal de Villeneuve nel condurre gli scavi permise di raccogliere importanti indicazioni sul fatto che la deposizione dei due individui non era avvenuta contemporaneamente. Una serie di elementi indicano in particolare che la tomba contenente il corpo di un giovane venne aperta a distanza di qualche tempo dalla sua inumazione, per introdurvi una donna adulta, forzata in posizione contratta, a ventre in basso e con la faccia affondata nel terreno. Si tenga presente che la raffigurazione generalmente nota, con il cranio della donna giacente sul lato destro, riproduce la situazione espositiva scelta all’inizio del secolo per poter mettere in evidenza i tratti facciali “negroidi”.
La sequenza di inumazione e lo scarso riguardo riservato nel seppellimento alla donna costituiscono la manifestazione più appariscente di un modello funerario che sembra chiaramente orientato a mettere in rilievo la figura maschile. Infatti le sepolture dei Balzi Rossi, pur nell’incertezza sulla loro precisa cronologia, possono essere distinte in un gruppo recente (Epigravettiano finale), del quale fanno parte sia i bambini messi in luce da Rivière sia lo scheletro femminile rinvenuto negli strati alti della Grotta dei Fanciulli, ed uno più antico (attribuibile secondo gli studi più recenti al Gravettiano), cui appartiene anche la sepoltura dei “negroidi”.
L’analisi della distribuzione dei sessi in quest’ultimo insieme evidenzia da una parte la forte disparità numerica fra esemplari di sesso maschile rispetto a quelli di sesso femminile e dall’altra il fatto che i pochi scheletri femminili sono presenti in tombe plurime comprendenti anche maschi. La donna appare quindi come figura del tutto marginale in questo complesso funerario, dal quale, si noti, sono esclusi i bambini.
Composizione del campione, modalità di trattamento funebre e quanto in precedenza detto circa le caratteristiche di robustezza degli inumati convergono nell’indicare come le prime popolazioni che frequentarono le grotte dei Balzi Rossi a scopo sepolcrale ne riservarono l’utilizzo ad un campione selezionato sulla base delle qualità personali dell’individuo ed in particolare su sesso, età e probabilmente anche sulle capacità di svolgere attività socialmente importanti.
LUOGHI DI CONSERVAZIONE DELLE SEPOLTURE PALEOLITICHE
Grotta del Caviglione. Musée de l’Homme, Parigi (sepoltura singola scoperta dal Rivière).
Barma du Bausu da Ture. Musée des Antiquites Nationales, Saint Germain-en-Laye (seconda sepoltura del Rivière). Mancano notizie sulle due restanti
Grotta dei Fanciulli. Musée des Antiquites Nationales, Saint Germain-en-Laye (sepoltura dei bambini scoperta dal Rivière). Musée d’Anthropologie Préhistorique, Principato di Monaco (sepolture scoperte dal de Villeneuve).
Barma Grande. Musée Municipale de Menton (sepoltura scoperta dal Jullien). Museo Preistorico dei Balzi Rossi Ventimiglia (sepoltura triplice e resti delle due sepolture singole scoperte dagli Abbo).
Fig. 1. Sepoltura bisoma dalla Grotta dei Fanciulli (scavi Alberto I – 1900-1901), come esposta al Musée d’Anthropologie Préhistorique del Principato di Monaco. La disposizione dei crani fu alterata per evidenziare i caratteri facciali dei due inumati.
Fig. 2. Ricostruzione della posizione originaria dei crani della sepoltura presentata nella precedente illustrazione. Calco in resina eseguito da R. David sulla base del giornale di scavo di de Villeneuve.
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Uno dei reperti più importanti e famosi anche all’estero è la cosiddetta “Triplice sepoltura” paleolitica, databile a circa 25.000 anni da oggi. Scoperta nel 1892, comprende gli scheletri di un Homo sapiens adulto di alta statura (circa 190 cm) e di due giovani (secondo gli studi più recenti sul DNA antico due ragazze, probabilmente sorelle, sepolte dunque con il padre o altro stretto parente). I tre vennero sepolti contemporaneamente nella stessa fossa con ricco corredo comprendente lunghe lame di selce proveniente da giacimenti francesi, oggetti ornamentali e di vestiario fabbricati con conchiglie, denti di cervo, vertebre di salmonidi, avorio di mammuth. Al mondo esiste solo un’altra triplice sepoltura paleolitica, nella Repubblica Ceca. (www.balzirossi.it)
Collana e vertebre di salmonidi ai piedi della triplice sepoltura.
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ARTE PARIETALE PALEOLITICA AI BALZI ROSSI
Cartelli e alcune immagini sono state prese al Museo dei Balzi Rossi. Le riprese fotografiche sono state effettuate su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Sopraintendenza Archeologica della Liguria.
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Anche i Balzi Rossi conservano significative tracce di incisioni parietali paleolitiche. I primi esempi furono scoperti casualmente nel periodo marzo-aprile 1971 nel piccolo riparo ad Est dello scavo di Riparo Mochi, che risultò letteralmente tappezzato di segni e che venne denominato Riparo Blanc-Cardini, in onore dei due illustri Studiosi.
L’annuncio della scoperta destò molto scalpore, trattandosi di un sito che aveva conosciuto per oltre un secolo la presenza di tutti i maggiori Studiosi europei. Il fatto è però facilmente spiegabile in quanto è proprio tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che si è andata definendo la nozione di uomo preistorico e delle culture ad esso pertinenti: i ricercatori che hanno operato in quel periodo non si potevano interessare di incisioni parietali non avendone ancora preso esatta conoscenza. Se a questo aggiungiamo che in tutte le grotte dei Balzi Rossi i livelli interessati da questo fenomeno erano stati abbandonati in quota all’inizio del secolo, risulterà evidente che per identificare le incisioni presenti era necessario riesaminare le parti delle grotte situate a quote corrispondenti a quelle dei vecchi scavi.
Il lavoro di prospezione e rilievo delle incisioni fu eseguito tra il 13 aprile e il 19 maggio 1971 da G.Vicino e S.Simone, con l’aiuto del gruppo di lavoro del Musée d’Anthropologie Préhistorique del Principato di Monaco. Nonostante le difficoltà causate dall’asperità dei luoghi, tutte le grotte furono esaminate, e i Balzi Rossi entrarono, anche per questo aspetto, fra i più importanti giacimenti europei. Infatti, con la sola eccezione della Grotta del Principe, in tutte furono rinvenute tracce di queste manifestazioni, con la massima concentrazione tra le grotte di Florestano e del Caviglione.
RAPPRESENTAZIONI ANIMALI
La sola figura di animale ben evidente è un piccolo cavallo, dal tratto leggermente inciso, sulla parete occidentale della Grotta del Caviglione, a m 28 di altezza sul livello del mare.
Questo piccolo cavallo ricorda i tipi attuali della Camargue o il tipo di cavallo selvatico presente oggi nell’Europa orientale (cavallo di Przewalskij, tipo primitivo di E. Bourdelle): corpo spesso, nuca rotonda, muso asinino.
La raffigurazione misura cm 39,5 dalla punta del naso all’ estremità della coda, ed è riempita di finissime incisioni, come volerne sottolineare il pelame; la linea del ventre risulta interrotta a causa della desquamazione della parete e di alcuni profondi intagli verticali che, in almeno due casi, dovrebbero essere anteriori alla figura.
Altre ipotetiche figure animali potrebbero essere individuate anche nell’ intrico di segni lineari presenti nel Riparo Blanc-Cardini.
RAPPRESENTAZIONI SCHEMATICHE E SEGNI SESSUALI
La maggior parte delle incisioni è stata eseguita sui bordi delle fessure presenti nel calcare giurassico o sulle piccole sporgenze delle pareti.
Si tratta di segni lineari più o meno profondamente incisi, isolati o in connessione fra loro: semplici solchi, generalmente lunghi, di profondità variabile.
Alcuni di questi segni, in unione fra loro determinano delle figure che posso interpretate come simboli sessuali (almeno tre). Altri, costituiti da tratti continui con curvatura terminale, determinano invece delle figure interpretabili come segni sessuali maschili (almeno due).
L‘ insieme delle incisioni rupestri dei Balzi Rossi può essere datato, per riferimento ai livelli aurignazìani, scavati da F.Forel, E. Rivière, L. de Villeneuve verso la fine del secolo scorso, ai livelli del Riparo Mochi, scavati da A.C. Blanc e L.Cardini, e alla piccola ma significativa serie del Riparo Bomboni (G.Vicino).
Anche se non si conoscono ormai più precisi strati di pertinenza di tali manifestazioni, esse possono facilmente essere ascritte alla parte iniziale del ciclo dell’arte paleolitica franco-cantabrica (ciclo aurignaco-gravettiano) e sarebbero espressione dello Stile II della periodizzazione di A. Leroi-Gourhan. La linea cervico-dorsale, a curvatura debolmente accennata, del cavallo del Caviglione ricorda infatti da vicino analoghe figure di Combarelles (Dordogna).
Il prof. P.Graziosi avvicina inoltre il fitto intreccio di segni lineari a manifestazioni affini presenti in tutti quei siti di arte paleolitica peninsulare ed insulare che vengono inquadrati sotto la definizione di “arte mediterranea” (Riparo del Romito di Papasidero in Calabria, Grotta Romanelli in Puglia, grotte Niscemi e Racchio in Sicilia).
Balzi Rossi. Esempi di incisioni lineari.
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LE “VENERI” DEI BALZI ROSSI
Cartelloni e alcune immagini sono state prese al Museo dei Balzi Rossi. Le riprese fotografiche sono state effettuate su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Sopraintendenza Archeologica della Liguria.
Cartello 17
CALCHI DELLE STATUETTE CONSERVATE AL MUSÉE DES ANTIQUITES NATIONALES DI SAINT GERMAIN – EN -LAYE.
Le statuette femminili paleolitiche note come “Veneri” sono tipiche del periodo del Paleolitico superiore caratterizzato dall’industria litica gravettiana (circa 29.000 – 21.000 anni fa) e sono diffuse su un’area geografica molto vasta, che va dai Pirenei alla pianura del Don, con una notevole uniformità stilistica.
Si tratta di statuette in avorio, in osso o in pietra generalmente di dimensioni molto ridotte, che superano raramente i venti centimetri di altezza, con una media di una decina.
Possono essere più realistiche o stilizzate, ma le loro forme sono comunque assai stereotipe: presentano quasi tutte una esagerazione del volume delle mammelle, del ventre e dei fianchi, mentre la parte alta del corpo e le gambe sono in proporzione sottodimensionate.
Alcune sono state scoperte molto precocemente e hanno portato gli studiosi ad avanzare ipotesi sull’aspetto delle donne preistoriche. Si è pensato che, come le donne ottentotte, le donne del Paleolitico superiore fossero steatopigie, possedessero cioè un’importante riserva di grassi a livello delle natiche.
Studi più recenti hanno proposto invece di considerare il particolare aspetto di queste statuette femminili come espressione di un certo numero di convenzioni stilistiche: le mammelle, i fianchi ed il ventre sono iscriviteli in un cerchio, a partire dal quale si può costruire una losanga includente testa e gambe.
L’espressione degli stessi caratteri stilistici in statuette provenienti da siti molto lontani nello spazio implica evidentemente l’esistenza di una certa unità culturale.
Incerte sono le circostanze di ritrovamento delle statuette dei Balzi Rossi, la cui autenticità fu messa in discussione da G. de Mortillet e da Rivière, il quale testimonia tra l’altro della vendita di falsi presso le grotte nel 1892.
Sembra che il Jullien le abbia scoperte o se le sia procurate tra il 1883 e il 1895, quando le “veneri” paleolitiche erano ancora poco conosciute. Jullien dichiarò dì averne nascosta l’esistenza perchè, in assenza di termini di confronto, temeva che sarebbero state considerate posteriori al Paleolitico insieme allo stesso deposito, diminuendone il significato ed il valore. Ma dopo che nel 1895 le scoperte di Brassempouy modificarono i termini della questione, decise di venderle: una fu acquistata nel 1896 da S. Reinach e altre sei tra il 1900 e il 1902 da E. Piette, entrando cosi a fare parte delle collezioni del Musée des Antiquités Nationales di Saint Germain-en-Laye.
Dalla corrispondenza intercorsa tra Piette e Jullien pare che quest’ ultimo sia stato in possesso di una quindicina di statuette, di una parte delle quali, rimaste nelle sue mani anche dopo che si trasferì in Canada, non esiste più traccia.
Per quanto riguarda le circostanze di ritrovamento, Jullien dichiarò di averne raccolte tre nella Barma Grande (la “statuetta di steatite gialla”, la “donna col gozzo” e la “donna con il collo forato”, quest’ultima rimasta in suo possesso), mentre indicò più confusamente le altre come provenienti dalla “grotta del Tunnel”, cioè la Grotta del Principe. Poiché gli scavi iniziati nel 1895 dal de Villeneuve in questa grotta hanno evidenziato solamente strati di Paleolitico medio, è possibile che Jullien abbia voluto sviare l’interesse dei curiosi o che sia stato ingannato da un altro scavatore, dai quale avrebbe avuto le statuette, ma non è del tutto da escludere che nella Grotta del Principe esistessero livelli del Paleolitico superiore, completamente scavati dal Jullien stesso, oppure che vi fosse un ripostiglio di statuette.
Da ricostruzioni della situazione stratigrafica tentate sulla base delle indicazioni fornite dal Jullien, sembra che due delle statuette della Barma Grande (la “statuetta di steatite gialla” e la “donna col gozzo”), siano state raccolte in strati diversi, ambedue caratterizzati però da industria litica di tipo gravettiano.
Come già accennato, il problema dell’ autenticità di queste statuette è stato più volte sollevato. Non c’è dubbio che la relativa inverosimiglianza di certe dichiarazioni del Jullien, il mistero della scoperta e dell’occultamento dei pezzi, la presenza di falsari nella zona abbiano contribuito a creare un clima di sospetto. Se fosse accertata una data di scoperta anteriore a quella delle statuette di Brassenpouy, la loro autenticità dovrebbe essere ritenuta sicura, poiché lo stile delle raffigurazioni corrisponde a quello delle altre “veneri” paleolitiche. Invece, dal momento che furono tenute nascoste fino al 1896, quando vennero pubblicati altri reperti simili, alcune perplessità permangono. Sembra però poco verosimile che anche all’epoca in cui furono vendute potesse esistere un falsario tanto abile da produrre pezzi cosi originali e al tempo stesso così rispondenti ai canoni di questo tipo di raffigurazioni, secondo quanto a noi oggi noto dopo quasi un secolo di studi.
1. La “statuetta di steatite gialla”, rinvenuta a detta del Jullien nello “strato E” della Barma Grande, a circa 5 metri di profondità, fu acquistata nel 1896 da S.Reinach per conto del Musée des Antiquités Nationales di Saint Germain-en-Laye.
Leggermente traslucida, con superficie ben levigata con tracce d’usura, è assai danneggiata in più punti. La parte inferiore delle gambe manca, la testa è ovale senza tratti delineati, tranne un grosso ciuffo di capelli che discende sulla nuca. Le mammelle sono enormi e pendono sul ventre e sui fianchi obesi. Le gambe sono grosse e separate dal tronco con un solco ben marcato. Una nodosità presente sopra il ventre potrebbe rappresentare le mani, mentre le braccia non sono evidenziate. Le natiche sono grandi, ma non accentuatamente steatopigie.
2. La “donna col gozzo” è una statuetta in osso, raccolta a detta del Jullien nello “strato D della Barma Grande, quindi più alto della precedente acquistata da Piette e donata al Musée des Antiquités Nationales come le seguenti.
Danneggiata in più punti, probabilmente anche nel corso dello scavo, presenta una superficie levigata con tracce di usura.
La testa sublosangica è alquanto rovinata; il collo mostra sulla parte antreriore una piccola nodosità interpretata da Piette gozzo, che potrebbe però rappresentare anche un pendaglio.
Le mammelle ed il ventre hanno l’aspetto di triangoli in rilievo con la punta rivolta in basso e sono piuttosto voluminosi. Il ventre reca una serie di fini strie verticali e un taglio all’estremità inferiore, che dovrebbe rappresentare la vulva. Le braccia non sono rappresentate; gli arti inferiori sono spezzati al ginocchio e sono separati dal ventre con un solco. Le natiche grandi e gonfie hanno un aspetto nettamente steatopigio.
3. La statuetta nota come “Pulcinella” per la forma del capo, in steatite verde leggermente traslucida, fu venduta a Piette dal Jullien come proveniente dalla “grotta del Tunnel”, così come le successive . Presenta superficie levigata e consunta; la testa termina con una punta leggermente rivolta all’indietro che sembra raffigurare la capigliatura. I tratti del volto sono assenti e solo il mento sembra rappresentato con un rigonfiamento, mentre dalle spalle strette partono abbozzi di braccia che scendono lungo il busto. Le mammelle sono strette ma prominenti e ben delineate, il bacino è sviluppato in senso antero-posteriore e non laterale, con fianchi poco marcati e ventre rigonfio, il triangolo pubico e la vulva sono profondamente incisi. Le natiche, fortemente prominenti, rappresentano uno dei casi più evidenti di steatopigia. Gli arti inferiori sono separati fino al livello delle ginocchia, mentre le gambe sono riunite in un’estremità appuntita.
4. La statuetta nota come la “Losanga” è anch’essa in steatite verde traslucida e come le precedenti presenta superficie levigata e consunta. La forma generale è quella di una losanga, la testa ricorda quella del “Pulcinella”, ma è meno appiattita e il mento meno marcato, mentre le spalle sono più larghe. Il torso, piatto come quello delle prime due statuette, è largo e porta mammelle voluminose ma non pendule e distanziate una dall’altra. Le braccia non sono evidenziate e il. ventre, situato al centro geometrico della losanga, forma con il triangolo pubico una massa fortemente rilevata, ma di forma pressochè identica a quella della “donna con il gozzo” o del “Pulcinella”. Sulla massa del ventre si distinguono strie grossolanamente concentriche , mentre la vulva è rappresentata da un’incisione profonda. La massa del ventre e del trangolo pubico è separata dalle natiche e dalle cosce da solchi sulla faccia anteriore; i fianchi e le natiche sono lateralmente e posteriormente poco prominenti. Gli arti inferiori, separati a livello delle cosce da un solco, si riuniscono più in basso a formare una punta, spezzata fin da epoca antica.
5. La statuetta detta “l’Ermafrodito”, pure in steatite verde traslucida, è molto danneggiata, mancando della testa, della parte posteriore delle cosce e delle gambe, ed ha superficie levigata e usurata, con resti di concrezione nelle parti incise. Il torso è piatto, con mammelle di dimensioni normali e poco pendule, il ventre è voluminoso ma non esagerato. Sotto il ventre sono presenti tre rilievi difficilmente interpretabili: lateralmente due masse subtriangolari allungate, che possono essere considerate una rappresentazione delle mani, come pure di masse adipose inguinali simili a quelle delle donne boscimane; al centro un rilievo interpretato come fallo oppure come una piccola borsa. Anche, natiche e cosce sono di proporzioni normali. Sulla faccia posteriore si riconoscono la depressione vertebrale, il contorno delle scapole e l’indicazione della curvatura dei reni, sottolineata da un fascio di incisioni parallele che si prolungano sui fianchi e raggiungono i segnalati rilievi laterali. E’ quindi possibile supporre che l’insieme rappresenti una qualche forma di abbigliamento o di ornamento anziché genitali maschili.
6. La “figurina non descritta”, in steatite verde d’aspetto fibroso, differente dal materiale delle precedenti, è cosi definita in quanto non presentata nell’articolo di Piette del 1902 sulle statuette dei Balzi Rossi, forse perché acquisita dopo la stesura del lavoro.
La testa ovalare ed il busto sono di dimensioni e forma normali, i tratti del volto sono abbozzati; le mammelle, fortemente allungate dall’alto in basso, sono ben distinte da profonde incisioni, come pure il tronco dalle natiche, fortemente proiettate all’indietro. La parte inferiore è spezzata: la superficie è meno levigata di quelle delle altre statuette e molto più incrostata di concrezione.
7. La “testa negroide”, anch’essa in steatite verde leggermente fibrosa, ha superficie ben levigata e consunta dall’uso, soprattutto nel viso. Manca di una parte della sommità ed ha base anch’essa levigata e usurata, lasciando supporre che fosse già nel Paleolitico una testa isolata. Ha forma relativamente appiattita con un rilievo superiore che rappresenta una crocchia di capelli. I tratti del viso sono raffigurati in maniera attenta: fronte sfuggente, sopracciglia massicce, orbite profonde, zigomi marcati, bocca resa con due piccole incisioni orizzontali allineate sul fondo di una debole depressione, mento prominente. L’acconciatura, in parte mancante, è raffigurata con una quadrettatura che ricorda quella delle statuette note come la ”dama di Brassenpouy” e la “donna a testa quadrettata” di, Laussel: una serie di incisioni che vanno dalla fronte alla nuca incrociate da incisioni trasversali, le prime delle quali formano una sorta di banda sopra la fronte.
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GROTTE DI FINALE LIGURE
CAVERNA DELLE ARENE CANDIDE
[in costruzione]
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[ulteriori immagini saranno inserite appena verranno pronte]
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GROTTE DI TOIRANO
[ulteriori immagini saranno inserite appena verranno pronte]
[in costruzione]